Donne indimenticabili:
di Paola Dei
Nel giorno della Festa della donna, è impossibile non ricordare grandi attrici che ci hanno lasciato ricordi indelebili nella memoria con le loro recitazioni intense ed immortali, fra di loro il pensiero va a Franca Rame, Virna Lisi, Monica Scattini, Mariangela Melato e molte, moltissime altre che soltanto per motivi di spazio non vengono citate ma che sono comunque con noi e ci fanno ancora emozionare, commuovere e sorridere. Fu proprio Mariangela Melato, grande collaboratrice di Luca Ronconi, un’altro grande del teatro che ci ha lasciati da pochi giorni, che nell’ultimo periodo della sua vita ci regalò un’interpretazione unica ed inimitabile dell’opera: Il dolore di Marguerite Germaine Marie Donnadieu, meglio nota come Marguerite Duras, un’artista nata il 4 aprile 1914 a Gia-Dihn, a pochi chilometri da Saigon da genitori francesi, ultima di tre figli ed unica femmina che perde il padre quando ha appena quattro anni e vive un rapporto conflittuale con la madre per molti anni.
Anni dopo descrisse pezzi della sua vita così: “Alla morte di mio padre, fu necessario vendere un pezzo di terra incoltivabile, tutta la nostra fortuna, ero molto giovane, avevo due fratelli maggiori ed eravamo molto poveri. Mia madre non avrebbe mai lasciato il paese che amava. Era prima della guerra. Fiamminga d’origine, morì, verso la metà degli anni Sessanta, in Francia, in esilio come diceva. Avevo sempre voglia di scrivere, poesie, a dodici anni. Andavo a scuola con mia madre, in campagna e, più tardi, a Saigon, al liceo. Da otto anni a diciassette ho visto, vicino a Vinh-Long, il sole tramontare fra le risaie. So perché amo la Camargue. Ho un terrore tremendo delle foreste e detesto la montagna che mi angoscia e nasconde i tramonti. Non mi sono mai abituata ai frutti europei. Sono partita un giorno, per l’Università, a Parigi. Avevo una borsa di studio. Bisognava che lavorassi. Oggi potrei vivere benissimo in qualsiasi posto che non fosse la Francia, dove potessi in ogni caso, fare del cinema. Ho delle difficoltà a fare dei film in Francia”.
Il romanzo Una diga sul Pacifico (1950) la consacrò scrittrice in patria e all’estero. Elio Vittorini accolse il libro come “il più bel romanzo francese del dopoguerra”. Il regista René Clément ne trasse un noto film. Non era però quello l’esordio narrativo della Duras. Ella aveva infatti pubblicato già due romanzi prima della Diga: Gli impudenti (1942) e Una vita tranquilla (1944); nel 1952 ne uscì un quarto, Il treno di Gibilterra, cui seguirono Moderato cantabile, I cavallini di Tarquinia, Il pomeriggio del signor Andemas, Il rapimento di Lol V. Stein, Il viceconsole e altri ancora. Nel 1984 ottenne il premio Goncourt con L’amante, bestseller internazionale, tradotto in ben 22 lingue. (D. Fasori).
Erano gli anni novanta, esattamente il 1992 quando nelle sale cinematografiche uscì il Film L’Amante, giudicato dalla stessa Duras, scrittrice dell’omonimo libro, troppo commerciale. Lei aveva già settant’anni, era una drammaturga, scrittrice e cineasta ma soprattutto un’intellettuale scomoda, che nel film racconta una vicenda autobiografica e la propria iniziazione alla sessualità. La ragazzina infatti, altro non è che Marguerite che sullo sfondo di profumi e atmosfere orientali, vive un amore intenso e disperato, senza futuro a causa delle differenze sociali con il suo amante. La famiglia di lui, Huynh Thuy, appartenente ad una famiglia molto abbiente, ostacola in ogni modo la storia che nel libro viene raccontata in una maniera assolutamente originale e rompe tutti gli schemi letterari. Marguerite infatti inonda con coraggio di passioni mai sopite tutte le pagine del libro: dolore, gioia, attese, violenza. Tutta la sua opera è un mix di autobiografia e passioni che si frammentano con il passare del tempo fino a costruire tutto il percorso di vita dell’artista che visse in prima persona la deportazione del marito Robert Antelme, raccontata ne: Il dolore, dove si mescolano speranze e disperazione, attesa e delusione, ricordi e presente, ombre e luci.
“Le mie prime opere” diceva l’autrice di Jaune le soleil, di La femme du Gange, Baxter, Véra Baxter, Son nom de Venis, Dans Calcutta désert, Le Navire Night “hanno dentro già tutto, vi si trova il vuoto, la fame, il desiderio, la macchina (quella di Un barrage contre le Pacifique è la lancia nera di Anne-Marie Stretter), la mendicante… Non ho inventato niente, niente”.
Come scrive Sandra Petrignani nel libro Edito da Neri Pozza, che ha partecipato anche alle giornate promosse dall’Associazione Marguerite Mon Amour, aveva una compulsione che la travolgeva davanti agli uomini che le piacevano e doveva conquistarli. Fu infedele a tutti, compreso il marito che lei stessa definì “il più intelligente e il più buono”, attratta dal dongiovanni Dionys Mascolo che frequentava la loro casa e dal quale ebbe un figlio. Fu sempre Mascolo che la aiutò a riportare il marito in patria e curarlo dal tifo contratto nei campi di concentramento. Per un periodo i tre vivono uno strano ménage a trois, senza sessualità in casa, fin quando il marito, dopo aver saputo che lei aspetta un figlio da Mascolo, lascia la casa. Neppure la maternità riesce a renderla fedele e i suoi amanti aumentano in maniera esponenziale così come il suo vizio del bere.
Marguerite amava di tanto in tanto raccontare agli amici questo aneddoto: un giorno, un giornalista incaricato di andarla a ricevere all’aeroporto le disse, forse per compiacerla, di conoscere tutto di lei, della sua produzione letteraria come di quella cinematografica: ma di essere stato particolarmente colpito da un film. Lei, che nel 1969 aveva realizzato Détruire, dit-elle (tratto dal suo libro omonimo), le chiese incuriosita il titolo. E il giornalista: “Détruire l’hotel!”. (D. Fasoli)
Viene espulsa dal partito comunista per condotta immorale ma continua a portare avanti la sua arte e si unisce a Gerard Jarlot, un raffinato scrittore esperto di arte che tiranneggia la scrittrice mentre lei aumenta il vizio del bere ed inizia a scrivere sceneggiature per il cinema. Da ricordare Hiroshima mon amor con il quale vince il Festival di Cannes del 1958.
Quello della Duras -scriveva Ester De Miro- “è un ‘cinema d’autore’ che mette in discussione i fondamenti del linguaggio cinematografico per creare un cinema ‘altro’ che inventa nuove regole, finalizzate alle necessità d’espressione di un soggetto dalla personalità potente, autonoma, simile a nessun’altra, fiera della sola fedeltà a se stessa e al proprio universo fantastico”.
Nel 1968 si trova in Piazza a manifestare contro la cultura commerciale e negli anni successivi sprofonda sempre più nell’alcolismo ma continua a scrivere fin quando nel 1980 conosce uno studente che volle conoscerla con insistenza e che vivrà con lei fino alla morte: Yann Andréa che per Marguerite è una fonte di ispirazione, un servitore, un oggetto del desiderio reso impossibile dall’omosessualità di lui, ma lei, nonostante questo, era attratta dalla sua anima e dal suo corpo, come lui stesso sostenne.
È lui che insieme al figlio ed a Mascolo che la Duras nel marzo del 1996 abbandona questa terra. Ci restano di lei opere indimenticabili e senza tempo e quell’originalità che aleggia in tutti i suoi libri ed in tutte le sue opere tradotte in Italia soprattutto dalle case editrici Einaudi e Feltrinelli, ma anche da Marcos y Marcos, Mondadori, La Tartaruga.
Commenti