DALLA RIVOLUZIONE FRANCESE ALLO STATO DEL NON DIRITTO
di anna Rossi

La storiografia borghese ostile alla rivoluzione francese ha sempre dipinto le masse che vi presero parte con tinte fosche e cupe identificandole come assassini o vagabondi, ricercati o depravati, persone senza scrupoli in cerca di un’identità o di una sopravvivenza elementare.
Viceversa, alcuni sostenitori della tradizione repubblicana, esaltarono le masse come la suprema incarnazione del bene e l’ideale della giustizia per eccellenza.
E’ molto più probabile che, fra le due posizioni, i fattori sociali ed economici del tempo, poggiando sullo sviluppo del movimento operaio, furono determinanti per scatenare la lotta di classe che cambiò il volto dell’Europa.
In sostanza possiamo dire che sia le rivolte agrarie che le code delle casalinghe davanti ai forni (ricordate la colonna di donne che il 5 ottobre 1789 marciarono su Versailles per rivendicare la concessione del pane?) furono delle proteste economiche e non politiche.
Già all’epoca ci fu qualcuno, come Arthur Young nel 1788, che derise impropriamente i contadini che vendevano i loro prodotti per pochi soldi, sottovalutando la formazione di una nuova mentalità collettiva che da lì a poco sarebbe passata da aggregazioni semi-volontarie ad un vero e proprio movimento rivoluzionario.
Sappiamo bene che l’assembramento presuppone l’esistenza di una mentalità comune, sufficientemente organizzata e consolidata. Senza questo presupposto sarebbe stato impossibile agire contro i privilegiati e i rappresentanti della monarchia.
Il resto della storia è noto ai più, se non altro, perché quel sangue versato rovesciò un sistema di privilegi cristallizatisi come diritti generali della società.
Se osserviamo bene la diversificazione dei livelli di coscienza collettiva, durante la Rivoluzione Francese, e ne esaminiamo la composizione sociale, possiamo dunque asserire che la maturità politico-organizzativa che mosse quelle folle, non si arrestò alla fase istintuale, e dunque spontanea, ma si concretizzò in una fusione popolare razionale.
Indubbiamente le rivoluzioni obbediscono a cause sociali e razionali molto concrete al contrario dei colpi di stato che s’impongono con l’oppressione dei popoli rivendicandone il dominio generale. Le rivoluzioni non sono mai l’effetto di un malessere passeggero. Il popolo si rivolta quando lo scontro di classe diviene inevitabile e il punto di sutura fra le due cose si chiama ingiustizia sociale e povertà.
Quando tutti i difetti della società si concentrano su un gruppo determinato, che incarna lo scandalo ed il carattere negativo dell’organizzazione della stessa, ecco dunque generata la condizione che, davanti ad un nemico comune, rende possibile il sollevamento delle masse rappresentate dalle contraddizioni fra le due classi antagonistiche fondamentali.
Per cambiare le cose non è dunque sufficiente la semplice volontà di lotta ma l’aver toccato con mano quella disgregazione nazionale più intima che fa esplodere indignazione e risentimento.
L’ultima battaglia dell’individuo contro la società è il tentativo finale di non farsi calpestare dalle lame affilate dell’ipocrisia. Ma questo scontro avviene sempre dopo aver provato che la libertà ha il sapore della solitudine anche se con cravatta e abito color fumo di Londra.
Oggi viviamo fenomeni di processi mentali meccanici, automatici. Politica e sesso tradiscono una carne debole finanche lontana dai discorsi di “ordine, obbedienza e disciplina” di un tempo. Grandi Destre e Grandi Sinistre non hanno nulla di grande in sé se rappresentano, nella sostanza, una borghesia sche sguazza nei presunti regimi parlamentari democratici.
Lo slogan “C’è un grande passato nel nostro futuro” è uno slogan incompleto poiché dimentico di un presente che non riesce a prendere provvedimenti cautelari in favore della Democrazia. La nostra storia nazionale recente tradisce le ambizioni golpiste che albergano nella debolezza di un numero crescente di avidi irresponsabili.
Le trasformazioni indolore di un regime politico sono correlate sempre da operazioni insidiose e pericolose che, se all’apparenza sono asintomatiche, col tempo porteranno alla luce gli effetti tragici del condizionamento delle masse rese amorfe ed incolte e senza un’identità da rivendicare.
I timidi tentativi, lodevoli nelle intenzioni ma non nei risultati, di mantenere una sorta di equilibrio economico senza una vera strategia a garanzia autoctona, può solo rimandare quel processo rivoluzionario di cui si è cibata la Rivoluzione Francese.
Chi, dimentico del mondo lo attraversa indisturbato ed incurante di chi soffre, sostiene la violenza e tutti i mali che da essa ne derivano.

Prof. Anna Rossi
Responsabile Relazioni Esterne O.N.E.R.P.O. (lì, 2 nov 2009)

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