Roma, 25 settembre 2010
Ogni volta che viene eseguita una condanna a morte, noi umanisti, e non solo noi, ci facciamo la seguente domanda: con quale diritto?
Con quale diritto uno Stato può ancora permettersi, nel 2010, di avere una legislazione che gli da il potere di uccidere un essere umano già privato della sua libertà perché ritenuto colpevole di aver commesso un reato?
Ancora troppi sono gli Stati che si ritengono nel pieno diritto di detenere questo tipo di potere: il potere di privare della vita un essere umano giudicato responsabile di un crimine.
Nel caso di Teresa Lewis, uccisa nella notte del 23 settembre con una iniezione letale dallo Stato della Virginia, nemmeno la certezza della sofferenza della donna per un disturbo mentale ha scalfito il fanatismo del governatore di questo Stato. La voglia di forca ha avuto il sopravvento.
La stessa voglia di forca che permette allo Stato dell’Iran di mandare a morte una donna per adulterio, sulla scia dello stesso tipo di fanatismo, questa volta degli ayatollah.
La stessa voglia di forca e lo stesso fanatismo che nel 2009 hanno ucciso, per mano dello Stato, ben 5.679 persone in tutto il mondo. Di queste esecuzioni, 5.608 sono state eseguite nella sola Asia e di queste il 98 per cento in Cina (l’88 per cento del totale mondiale). Subito dietro l’Iran che ne ha effettuate almeno 402 e l’Iraq con 77. Negli Stati Uniti nel 2009 sono state eseguite 52 esecuzioni.
Si tratta di un vero e proprio massacro che nulla a che vedere con la giustizia, ma solo con la preistorica legge dell’occhio per occhio, dente per dente che, tra l’altro, non ha alcun effetto sulla diminuzione del crimine. La pena di morte rappresenta soltanto la brutale dimostrazione di un potere, quello di decidere sulla vita e sulla morte di un essere umano, che fa parte della preistoria dell’uomo e, quindi, assolutamente inaccettabile.
Ma l’essere umano va avanti e nessuno lo può fermare nella sua evoluzione. Nonostante siano ancora troppi, sono rimasti 43 i paesi che mantengono la pena di morte nella loro legislazione, mentre i paesi che l’hanno abolita per legge o in pratica sono 154. Lo stesso numero delle esecuzioni diminuisce ormai ogni anno e la stragrande maggioranza di esse viene eseguita in paesi retti da governi dittatoriali o autoritari.
Risulta evidente, quindi, che la lotta per l’abolizione della pena di morte è strettamente legata alla lotta per la democrazia, per l’affermazione dello Stato di diritto, per la promozione e per il rispetto dei diritti politici e delle libertà civili. Una lotta che comunque deve continuare anche nei paesi retti da governi apparentemente più democratici, dove la pena di morte è stata abolita, ma in cui la preistoria continua a vivere, attraverso discriminazioni di ogni tipo e l’esistenza di sistemi carcerari disumani dove aumenta in modo preoccupante il numero dei suicidi. Suicidi che, in molti casi, possono essere considerati, proprio per le condizioni bestiali di vita dei detenuti, delle vere e proprie condanne a morte.
Il processo di umanizzazione della Terra è evidentemente tuttora in corso. Continuare a lottare per l’abolizione di pratiche bestiali, come la pena di morte, è indispensabile, come lo sono tutte le lotte per l’affermazione della democrazia e dei diritti fondamentali di tutti gli esseri umani.
Una nuova cultura che esige un essere umano trattato come tale per il solo fatto di essere nato umano, sta crescendo e manifestando. La manipolazione e la forzatura da parte di alcuni per imporre un ordine violento, ormai fuori epoca, non farà altro che accelerare la risposta nonviolenta, allegra e costruttiva di questa nuova cultura, che spazzerà via, con ancora più vigore, i resti di una cultura violenta che si sta esaurendo.
Fino a quando ci sarà anche un solo essere umano condannato a morte o un solo essere umano a cui vengano negati i suoi diritti fondamentali, il processo di umanizzazione della Terra non potrà dirsi concluso. Fino a quel momento la lotta non finirà. Parola di umanisti.
PARTITO UMANISTA
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