Da EUDONNA
Una delegazione Eudonna ha partecipato alla manifestazione per l’Affido condiviso (ddl 957 in discussione al Senato) il 4 ottobre in piazza Montecitorio alla presenza di altre associazioni (Bigenitorialità, L’Universo dentro, Empatia Donna, Movimento per l’Inanzia…).
E’ stata un’occasione per constatare con dolore che esiste ormai una frattura insanabile in seno alla famiglia. Padri e madri separati, affiancati dai rispettivi compagni, si sono giurati una vera e propria guerra, senza esclusione di colpi.
La famiglia è sempre più allargata ma non altrettanto accogliente e inclusiva: esistono figli di serie A e figli di serie B. I padri a volte si sottraggono al mantenimento, reclamano il mantenimento “diretto” cioè il rimborso a fronte di spese giustificabili.
Chiedono addirittura il “doppio domicilio” per i figli.
Dal canto loro, non sono poche le madri che si rifanno della latitanza economica degli ex mariti, incidendo sull’affettività padri /figli.
C’è chi rivendica un vero e proprio disagio psichiatrico di “alienazione genitoriale” quando il conflitto coinvolge i bambini e impedisce loro una sana frequentazione con il genitore non collocatario.
C’è chi al contrario non crede che esista una sindrome specifica imputabile all’influenza che eserciterebbe il genitore che trascorre più tempo con il figlio.
Di fronte all’innegabile superiorità numerica di famiglie monogenitoriali guidate da donne (l’85%!) si assiste alla solitudine e alla ghettizzazione progressiva delle madri che sono lasciate sole a crescere in casa la prole: penalizzate sul lavoro, soffrono il mobbing e l’azzeramento della carriera. Non resta loro che pietire l’assegno da parte dell’ex marito. Assegno che non arriva mai e che mortifica ulteriormente la madre.
40 anni di emancipazione post-femminista hanno presentato un prezzo salato sul delicato tema dei rapporti di coppia e delle responsabilità nella crescita delle future generazioni.
I figli sono scompensati dallo scontro a volte insostenibile, si ritrovano ad essere capro espiatorio dell’egoismo e dell’immaturità degli adulti. Torna in primo piano, accanto all’utilità che le scuole reintroducano lo studio dell’educazione civica, anche l’esigenza che alle giovani coppie venga imposto un percorso di formazione almeno biennale alla vita matrimoniale o alla convivenza, in modo che la conoscenza delle reciprocità, della sessualità e della solidarietà diventi un obbligo per chi intende creare un nuovo nucleo e mettere al mondo figli. Insegnare il rispetto di un coniuge verso l’altro significherà l’impegno a conoscere l’altro nelle sue diversità, nelle sue peculiarità, nelle sue necessità.
Con una sana formazione alla vita di coppia sarà più semplice affrontare le crisi che di dieci anni in dieci anni sottopongono la famiglia a veri e propri collaudi: il passaggio a nuove forme di intesa tra i coniugi, dalla passione all’abitudine e alla complicità, non possono essere sperimentate, ma devono essere accompagnate da terapeuti, da mediatori familiari.
Ne siamo sempre più convinti. E lo siamo per il bene della famiglia, prima cellula sociale, insostituibile cardine per una sana crescita delle nuove generazioni, che ci sono a cuore sopra ogni cosa. Investire sulla famiglia tradizionale significherà anche pretendere che i media facciano la loro parte e le reti globalizzate rispondano alla nuova parola d’ordine di “decoro e dignità” nell’uso delle immagini e della parola: il senso civico chiama il rispetto di regole, ma anche l’opportunità di riconoscersi in un percorso di valori condivisi.
Pochi essenziali riferimenti per difendersi dall’anarchia, perché la società possa procedere in un disegno di rinnovamento etico che non può limitarsi alla sola gestione onesta della Cosa pubblica.
Una società non si rinnova se il contenuto etico è limitato alla buona amministrazione e basta.
Ma quel che più interessa al nostro Circuito, che statutariamente promuove le donne, è consentire alle donne di rielaborare la propria eman-cipazione: l’indipendenza economica e il lavoro passano per un sentiero più significativo, quello della conquista delle posizioni apicali, dei luoghi decisionali. La popolazione femminile è asservita: i centri di potere sono ancora saldamente in mano agli uomini.
Ma la ragione di questo ritardo risiede nella mancanza di una vera e propria “lobby” femminile (nel senso più nobile della parola) che le donne ancora non hanno voluto, o saputo, costruire.
Alle donne, protagoniste reali del cambiamento, tocca ristrutturare la società anche a misura di donna e di madre: esse stesse devono progettare una rivoluzione nell’organizzazione del lavoro e consentire che interi comparti dell’economia siano riorganizzati con orari, sistema premiante, parametri meritocratici individuati sulla qualità più che sulla quantità di ore trascorse sul posto di lavoro.
E questo sarà possibile se alle donne risulterà gradito lavorare con le donne, se le madri sceglieranno e preferiranno lavorare con altre madri, in ambiente non promiscuo ove la carriera è costruita sulla base degli obiettivi raggiunti, in cui la produttività e il rapporto costo/efficacia delle risorse umane impiegate possono portare (perché no?) mirabilmente a far salvi i risultati di Bilancio.
Le donne fanno miracoli e la loro energia è come quella delle formiche. Lo Stato poi farà la sua parte, grazie a sconti da offrire alle aziende virtuose che asseconderanno il processo: una rivoluzione organizzativa che potrà anche garantire la ripresa verso l’alto dell’indice di natalità e un minore ricorso a personale straniero nelle case degli italiani: sappiamo che una delle voci più pesanti del nostro deficit è rappresentata dalle consistenti rimesse all’estero dei lavoratori stranieri.
Giovanna Sorbelli
Presidente Eudonna
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