L’iraniana Premio Nobel per la Pace 2003 è stata l’ospite d’onore che ha aperto ufficialmente le giornate di Torino Spiritualità
Torino Spiritualità, è una bella serie di appuntamenti che di anno in anno incontra un pubblico sempre più attento e un’accoglienza sempre più calorosa. Mirabilmente strutturata da Antonella Parigi, il regista Gabriele Vacis e un solido comitato scientifico, in luoghi ricchi di suggestioni e di storia concentra concerti, spettacoli, eventi, incontri con personalità di prestigio intorno a questioni relative al senso ultimo della vita (“Domande a Dio e agli uomini” è il sottotitolo). La manifestazione, che nella sua ultima edizione si è concentrata sul tema “Corpo e Spirito”, si è allargata anche nel terreno dei diritti umani.
L’iraniana Shirin Ebadi, Premio Nobel per la Pace 2003, patrocinante vigorosa dei diritti umani, di professione avvocato, è stata l’ospite d’onore che ha aperto ufficialmente queste giornate dedicate al pensiero. Autrice di un libro, il primo destinato ai lettori occidentali, intitolato Una vita di rivoluzione e di speranza (Sperling & Kupfer), Shirin Ebadi ha un modo sciolto e convincente di esprimersi, anche quando sostiene tesi forse insostenibili, come il diritto di ogni paese, anche il suo, non certo pacifico per vocazione, di procedere nello sviluppo delle ricerche nucleari. La sua persona emana severità, autorevolezza e una lucidità penetrante. Sorride poco e se questo accade, il volto si illumina di cordialità. Ma nel messaggio affabile c’è l’ombra dell’inquietudine per guerra nel Medio Oriente, che con vigore la paladina della pace cerca di contrastare nei suoi viaggi portandosi dietro la consapevolezza del pericolo che incombe anche sull’Iran («L’Iran non deve essere un altro Irak», sostiene la coraggiosa signora con accorata fermezza)..
Nella sua lectio magistralis, la relatrice ha espresso il proprio pensiero sui molti temi che sollecitano il suo impegno. «Il fondamentalismo, ha esordito, toccando uno dei punti nevralgici del nostro tempo, non è una caratteristica dell’Islam: è presente in tutte le religioni e anche nella scienza. Il pericolo è la sua cattiva utilizzazione». «Per quanto concerne la democrazia, è una teoria sbagliata quella di imporre ovunque e tutti i costi i metodi democratici, per giustificare le guerre in Medio Oriente. Chi vede i propri interessi nelle fiamme della guerra e intende aumentare il suo potere facendone pagare il prezzo alla popolazione civile, accampando l’introduzione di regole democratiche, adotta sistemi non democratici». Ma non è facile per lei sostenere in Europa che l’Islam è compatibile con la democrazia «L’Islam crede nei diritti umani e nella democrazia, i paesi musulmani possono essere democratici. Alcuni Paesi seguono le dottrine degli avi e credono che le leggi devono basarsi sui doveri di provenienza divina, per cui la maggioranza non può incidere sui diritti e i doveri. Nel varare le leggi credono che il loro compito sia quello di aiutare a rivelare e a sostenere le leggi divine, al di fuori delle quali non si ha voce. Chi segue questa dottrina vede il mondo con gli occhi degli avi, dunque l’Islam non sarebbe compatibile con la democrazia e i diritti umani. Ogni altra interpretazione è considerata inaccettabile. Ragionando in questo modo si costringono gli avversari politici a tacere e la gente a non lottare. Dietro queste teorie c’è la protezione degli Stati Uniti che hanno amicizie di lunga data con paesi non democratici sanniti e il sostegno di chi ritiene ineluttabile lo scontro». Si chiede Shirin Ebani: «Sono tutti democratici i paesi cristiani? La dittatura è diffusa ovunque. Non solo nei paesi islamici. Non è la religione islamica ad essere contro la democrazia , ma i dittatori. Prima della fine dell’URSS, gli USA hanno cercato di ostacolare l’influenza e la diffusione del comunismo. Per questo i gruppi integralisti sono stati sostenuti e protetti dagli americani. Ora che l’URSS non esiste più, il vecchio amico fondamentalista è diventato un nuovo nemico e si giustifica l’aggressione abusando del nome dell’Islam. Ma sono molti i pensatori musulmani che rispettano la democrazia e non tollerano l’ingiustizia e credono fermamente che i governi che rifiutano la democrazia con la scusa della cultura e della tradizione sono dei tiranni che mascherano la loro natura oppressiva. Ma l’Islam è una religione di uguaglianza. Maometto andava ripetendo: “Non c’è differenza fra nero e bianco, fra arabo e non arabo”. La storia dice che ci sono persone che hanno vissuto liberamente in un paese islamico. L’Islam è contro le dittature, sono certi regimi islamici che fanno un abuso in nome della religione. Ma questi eccessi non appartengono solo ai musulmani. Basti pensare ai campi di segregazione nell’Unione sovietica, ai massacri degli studenti in Cina o alle crudeltà commesse dalla chiesa nel Medioevo. Il modo migliore di affrontare i regimi dispotici è distogliere l’arma della religione che fa il pilastro del regime. La religione che fa parte del sentimento intimo della fede, non può essere usata per promuovere interessi politici».
L’avvocata venuta da Teheran tocca il tema dei diritti: «Di fronte alle Dichiarazioni dei diritti dell’uomo, è stata sottoscritta una parallela dichiarazione islamica. Io sono contraria ad un documento separato. Allora anche altre religioni dovrebbero esprimersi: l’ebraica, la buddista, l’induista… Governare il mondo in base alla religione è un errore».
Come vive la donna iraniana in un mondo dov’è discriminata e si vede negati i propri diritti? «Più del 75% degli studenti universitari sono donne. Le donne sono presenti in tutti gli uffici statali e governativi. Coprono incarichi di spicco, sono giudici, insegnanti, parlamentari. Ci sono donne dirigenti fra i fondamentalisti. Una vice rappresentante all’Onu è una personalità femminile con questo orientamento. La cultura è un tratto distintivo di molte donne, ma quantunque il livello culturale femminile sia elevato, abbiamo molte leggi discriminatorie. Ad un cittadino iraniano la legge permette di avere fino a quattro mogli. Può ripudiare la consorte senza motivo. Il divorzio per la donna iraniana è difficile, se non impossibile. La testimonianza di due donne vale quella di un uomo. Queste sono leggi create dopo la rivoluzione, non si accordano con la nostra cultura e alla situazione sociale delle donne. Faccio un esempio. Tutte le donne devono avere il permesso del marito per viaggiare. Anche la vicepresidente va alle Nazioni Unite per discutere i diritti degli iraniani deve avere il permesso del marito. Basta un litigio domestico per compromettere la partenza in vista di una missione importante. Le donne iraniane che sono contro queste leggi, hanno organizzato tempo fa una campagna per raccogliere un milione di firme. Era un’iniziativa pacifica; ma il regime, tanto più repressivo quanto più si sente debole, non ha tollerato questa iniziativa. Molte persone che sollecitavano le firme sono state arrestate e tratte in tribunale con l’accusa di atti contro la sicurezza nazionale. Io ne ho assunto la difesa. I tribunali iraniani purtroppo non sono indipendenti, prima dell’udienza la sentenza è già emessa. Le donne sono state imprigionate, frustate. Ma i movimenti femministi non sono stati frenati Le donne continuano a votare. Saranno loro a cambiare le leggi del paese. Ma se io, cittadina iraniana, non voglio che un marito sposi due donne, o che ad altre sia impedito di viaggiare, gli Stati Uniti possono attaccare l’Iran per darmi il loro appoggio?»
Alla domanda se la negazione dell’Olocausto non sia un atteggiamento contro la storia e al di fuori della storia, che rappresenta un rischio per il popolo iraniano, Shirin Ebani ammette che lo sterminio degli ebrei sia un capitolo doloroso. Ma in esso gli iraniani non hanno avuto nessun ruolo. Non capisco perché Ahmadinejad la neghi. Ne è responsabile chi ha preso parte. Sono loro a doversi difendere. Quella che si è generata era una situazione politica e non religiosa. Anche il negazionismo ha un aspetto politico».
Mirella Caveggia (da Noi Donne)
(25 settembre 2007)
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