Tendenze Del 29/1/2008
CHIARA BERIA DI ARGENTINE
MILANO
Le aziende con più donne al vertice sono più competitive e fanno più utili; ovvero, parafrasando una celebre pubblicità: «Metti una donna nel motore» e la tua performance sarà migliore. Questo dato, molto più convincente di tanti stanchi bla-bla sulle mancate pari opportunità, è il più interessante e sorprendente tra quelli presentati ieri al convegno «Donne e leadership. Verso un futuro al femminile» dalla società di consulenza manageriale McKinsey & Company. Leadership? Sul tema McKinsey ha svolto studi e ricerche in aziende e società europee molto più che per voglia di essere politically correct. Spiega Vittorio Emanuele Terzi, a capo di McKinsey nei Paesi del Mediterraneo: «Avere più donne ai vertici non è solo una questione etico-sociale, è soprattutto economicamente vantaggioso per le aziende». Primo risultato sorprendente della ricerca, ottenuto incrociando 9 variabili (dalla leadership all’innovazione) che McKinsey usa abitualmente per diagnosticare le aziende, con le risposte di 115 mila dipendenti di 231 imprese pubbliche e private, è che in tutte le imprese nelle quali c’è una maggior presenza femminile ai vertici- più del 30% dei senior manager- l’organizzazione del lavoro è più armonica e rispettosa dei valori. Più attenzione all’ambiente di lavoro, più coordinamento e controllo, più orientamento verso l’esterno. «Due sono i fattori più evidenti. Migliora il processo decisionale, le donne sono più costruttive, meno orientate a fare giochi di potere. E all’azienda portano un punto di vista diverso, quindi prezioso», sostiene Terzi. McKinsey con Amazone Euro Fund ha poi analizzato i bilanci di un campione di 89 aziende europee quotate in Borsa con più di 150 milioni di euro di fatturato. Risultato: le imprese che hanno infranto il famoso «tetto di cristallo», ovvero hanno più di 2 donne membri del board o dei comitati esecutivi, sono quelle che hanno una performance economico-finanziaria migliore rispetto a quelle guidate da soli maschi. Più 10% di redditività (Roe), utili pre-tasse (Ebit) di circa il doppio e addirittura una performance borsistica superiore del 70%. Altre ragioni spingono poi a considerare le donne all’interno delle aziende una risorsa sempre più preziosa. La ricerca McKinsey evidenzia come siano le donne a decidere i comportamenti di consumo non solo per gli acquisti familiari (70%) ma anche in settori considerati tradizionalmente maschili (il 47% degli acquisti di computer in Europa, e il 60% degli acquisti di automobili in Giappone). Morale: un punto di vista femminile può fare la fortuna/sfortuna di un prodotto. Infine, sottolinea Terzi, c’è il fattore demografico: «Se si riuscisse a recuperare il differenziale di tasso di partecipazione al lavoro allineandolo a quello maschile (56% delle donne rispetto al 71% degli uomini, media europea) dei circa 24 milioni di posti di lavoro che si creeranno entro il 2035 a causa del gap demografico, 21 milioni potrebbero essere occupati da donne». Performance eccellenti, risorse preziose. «Nonostante tutto questo la realtà è disarmante. Il tetto di cristallo è più inamovibile che mai», commenta la sociologa Francesca Zaiczyk («Resistibile ascesa delle donne in Italia», Saggiatore). «Trent’anni fa non avremmo mai pensato che ci sarebbero state così poche donne ai vertici delle aziende» confessa una delle top manager intervistate da McKinsey. Tra i pilastri che sorreggono quel tetto c’è un’organizzazione del lavoro a misura di maschio basata sul motto «any time, any where», ossia disponibilità totale di tempo e luogo inconciliabile con il doppio ruolo richiesto alle donne: più le donne fanno carriera meno hanno figli, i manager più hanno successo più figli fanno. Ostacoli, barriere, differenze salariali (in media le top manager guadagnano il 15% in meno dei loro colleghi).
E’ il desolante scenario di un continente dove il 55% dei laureati è donna, ma su 10 posti al vertice delle maggiori società solo uno è occupato da una donna. Più si sale nella gerarchia aziendale, peggio è. Nelle prime 50 aziende europee quotate le donne sono solo l’11% dei membri dei board e dei comitati esecutivi. In Norvegia la percentuale sale al 32%; l’Italia con il 3% di donne ai vertici delle aziende è battuta nell’Oscar della misogenia solo dal Lussemburgo. «Qualunque colore avrà il prossimo governo, deve attuare delle strategie per agevolare anche fiscalmente la presenza delle donne», sostiene Terzi. Aggiunge Maria Pedricchi, ad di Standard & Poor’s: «Non è un caso che le aziende più aperte alle donne sono quelle più innovative, dove conta di più il merito». Parla degli Usa, Pedricchi, ovviamente. Quanto all’Italia commenta: «La perdita di questa leva competitiva è una delle ragioni del declino». Talenti sprecati, mancanza di ricambio. La Casta (non parliamo di quella politica!) è di sesso maschile. Da segnalare qualche rara eccezione. Sarà perché ha lavorato anni in Gran Bretagna, l’ad di Eni Paolo Scaroni ha voluto 7 donne ai primi livelli. E dopo l’exploit di Diana Bracco alla guida della potente Assolombarda, nella speranza di vedere Emma Marcegaglia ai vertici di Confindustria, gli industriali toscani hanno eletto a loro presidente Antonella Mansi, 33 anni. Mansi, fiduciosa, annuncia: «Prima o poi sfonderemo quel tetto di cristallo”.
Fonte www.lastampa.it
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