Seminario: Genere e cittadinanza, cinquant’anni di politiche europee
di Wanda Montanelli
Il tema della cittadinanza femminile affrontato in un ampio seminario alla Camera dei deputati il 12 luglio scorso, ha avuto relatori di varia provenienza e professionalità. Parlamentari, professori universitari ed esponenti governativi che nell’esaminare le cause del gap di rappresentanza femminile, convergevano sul preciso aspetto della conciliazione tra lavoro e cura che è un grosso peso quasi ad esclusivo carico della donna.
La ricerca più specificamente indirizzata alla rappresentanza politica “tra vecchi ostacoli e nuovi percorsi” intitolava e si riferiva ad un solidissimo soffitto di cristallo, benché leggermente ammaccato dai tentativi delle donne di romperlo.
L’approccio strutturale e quello evolutivo, confrontati nel lavoro di Donata Francescano, Minou Mebane e Roberta Sorace, evidenziavano come nel primo caso le poche risorse femminili in tema di economia ed istruzione giustificherebbero la carenza di un pool di donne al quale attingere in caso di candidature. Secondo Lovenduski (2005) le donne oltre alla minore possibilità di accedere alle risorse finanziarie, sono meno propense a ad essere impiegate in occupazioni di supporto all’attivismo politico; ed in questo approccio strutturale trova collocazione la teoria della “massa critica”, introdotta da Rosabeth Moss Kanter (1977) con il nome “critical tipping point (punto critico d’inversione) secondo la quale la presenza di una massa critica di donne promuoverebbe l’attenzione legislativa per i temi delle donne e i cambiamenti di genere nelle procedure decisionali. L’assenza, viceversa, non muove verso il cambiamento ma conferma la staticità e il deterioramento della democrazia.
L’approccio evolutivo spiega a sua volta le differenze tra maschi e femmine come un disequilibrato e congenito adattamento ai problemi. Gli uomini sarebbero caratterizzati da una maggiore competitività e dall’interesse per il guadagno, mentre le donne sarebbero coinvolte da altro. Rifiutando i forti schemi di dominanza, si lascerebbero, queste ultime, controllare nell’accesso alle risorse, di quasi esclusiva prerogativa maschile.
Nella struttura dei valori sarebbe infatti prevalente per gli uomini la realizzazione, l’indipendenza, il materialismo, il potere; nelle donne invece l’affiliazione, le benevolenza, la responsabilità.
Tra queste due teorie se ne inserisce una terza, che è quella dei ruoli sociali. Tra cui la relazione di Bombelli (2004) che afferma che il nostro paese “è maschile nell’intimo” e con lui è concorde Bordieu (1998) che avvicina l’Italia, sui temi della dominanza maschile, più al Nord Africa che al Nord Europa.
Nella teoria dell’ambizione poi studiata da Carrol (1984) in un campione politico di maschi e femmine, le donne sono risultate ambizione come il loro colleghi maschi e le limitazioni derivano quasi sempre dal problema di conciliazione con il carico familiare a cui la coscienziosità femminile dà il privilegio, non avendo peraltro altri soggetti affidabili a cui demandare abitualmente tale impegno.
Non ultimo tra le cause di emarginazione femminile è il ruolo del sistema elettorale. Come evidenziato da IDEA (2005), per esempio, in 14 delle 20 nazioni considerate “top” si utilizza il sistema proporzionale, dove la competizione è meno serrata e meno conchiusa in favore degli uomini.
Tra le indagini però risulta che una parte consistente delle motivazioni è dovuta ai mass media. Dal crollo delle ideologie che ha contribuito alla personalizzazione delle politica si proiettano sugli schermi per lo più personaggi maschili. Sebbene dalla ricerca emerga che gli uomini scelti e votati sono riconducibili a comportamenti indicanti energia e amicalità, ma privi quasi delle prerogative più facilmente riconosciute alle donne quali coscienziosità, stabilità emotiva, apertura mentale, avviene di fatto l’esclusione delle donne. E’ importante sottolineare qui che il veicolo principale a disposizione dell’elettore per avere informazioni sui candidati politici è costituito dai diversi mezzi di comunicazione: carta stampata, tv, internet, che hanno dei costi non sempre affrontabili dalle persone di sesso femminile “esterne” al sistema maschile. Emerge perciò che la copertura dei mass media durante la campagna elettorale è spesso un problema per le donne candidate.
Kahn (1992), Molfino (2006), l’Ossevatorio di Pavia (dossier 2003) , descrivono una vera e propria invisibilità femminile nelle campagne elettorali. Francesca Molfino nota che quando si ha a che fare con le “Politiche”, da un eccesso di visibilità delle donne nei programmi di intrattenimento (veline e similari), si passa all’invisibilità nei programmi di informazione politica televisiva (70 ore contro 999 dedicate agli uomini).
L’Osservatorio di Pavia evidenzia come in termini di rappresentazione mediatica, la televisione si limita in gran parte a fotografare l’esistente, per cui lo stesso Molfino precisa che si crea in questo modo un circolo vizioso in cui la tv identifica l’esistente, cioè la non presenza delle donne come candidate, o come esponenti di cariche politiche importanti. L’assenza nei due campi, sia da candidate che da acclamate e brave governanti, non fa che rafforzare la segregazione.
In questo panorama statico c’è da chiedersi dove siano i varchi attraverso i quali le donne possano superare il muro. Forse una rivoluzione pacifica può essere quella di coinvolgere in maniera decisa, programmata e suggestiva i media. Personalizzare la politica uscendo dalle stereotipie e dimostrare cosa realmente sono le donne politiche. E’ in questo tema che si deve lavorare, mostrando nuovi scenari per dare vivacità all’inerzia dell’esistente fotografato.
Roma, luglio 2007
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