di Stefano Andreoli
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da: Diario del sottosuolo

a) La saggezza della ragione

“Si arriva al significato delle cose solo chiamandole con il loro vero nome”
Andrei Rublev, di A.Tarkovskij

Purtroppo mai come oggi la tendenza predominante, soprattutto nelle università, è quella di trattare la conoscenza e in particolar modo la filosofia (e discipline similari), come una delle tante materie scientifiche che si insegnano per preparare lo studente al mondo della tecnica e della professionalità. Diventano dei mezzi finalizzati a farcirgli la testa di nozioni che parleranno unicamente alla memoria e alla logica. Ma forse si è dimenticato che il ruolo della filosofia è nato innanzitutto per soddisfare un sentimento, la curiosità, e per aiutare l’uomo a conoscere se stesso e migliorarsi. Se si considera tale disciplina solamente come un fine, omettendo la fondamentale funzione che ha sull’individuo e sulle proprie verità interiori, allora si rischia di rimanere bloccati in una prigione invisibile con pareti fatte di termini, nozioni e parole prive di significato.
Socrate soleva invitare le persone con cui parlava a curare la propria anima, non solo la propria logica, Wittgenstein diceva che l’unica cosa si può fare per cambiare il mondo è migliorare se stessi. E allora le discipline come la filosofia non sono di nessuna utilità pratica, se non per l’effetto prodotto sulle menti e sulla vita di coloro che le praticano e studiano. Esse non servono per avere garanzie, certezze e nuovi basi, ma piuttosto per porsi domande, per creare dubbie e incertezze, ovvero il terreno fertile per la nascita di una conoscenza più profonda e maggiore libertà. La libertà è il bene più prezioso che può raggiungere il filosofo, affermava Platone: la conoscenza infatti permette di suggerire e stimolare nuove possibilità che allargano l’orizzonte della propria mentalità liberandola da pregiudizi, passività e consuetudini. Aumenta la conoscenza della realtà e dell’uomo stesso in quanto diminuisce la sicurezza nei loro riguardi, ma soprattutto scuote il dogmatismo arrogante di coloro che “credono di sapere e invece non sanno nulla” (Socrate) o che utilizzano la conoscenza per fini utilitaristici o interessi personali. L’uomo “pratico”, il classico individuo omologato e inserito da buon borghese in società, colui che riconosce principalmente i bisogni materiali, dimentica di fornire altrettanto nutrimento alla mente e se vogliamo allo “spirito”. Colui che non è mai entrato nella “regione del dubbio liberatore” (B.Russel) vedrà sempre il mondo e se stesso come qualcosa di scontato, di chiaramente definito, immutabile e probabilmente già determinato e chiuso nel contesto sociale nel quale si trova.
Così appare netto il ruolo della conoscenza e in particolar modo della filosofia nello sviluppo critico e cognitivo: ovvero considerare più attentamente quelle incongruenze che possono esistere nei principi, al fine di accettarli solamente quando l’esame critico non ha messo in luce elementi per respingerli. Questo non per arrivare alle conclusioni degli scettici o al vuoto assoluto di Cartesio, eliminando ogni certezza, ma piuttosto per chiedersi continuamente se si conosce tutta la profondità di tutto ciò che si crede di conoscere. Si tratta quindi di spogliare ogni apparente conoscenza per tentare di giungere ad una conoscenza più profonda e autentica, che sia “oltre il velo di Maya” (Schopenhauer).

“La vita non mi ha disilluso. Di anno in anno la trovo sempre più ricca, più desiderabile e più misteriosa – da quel giorno che venne da me il grande liberatore, quel pensiero che la vita potrebbe essere un esperimento di chi è volto alla conoscenza – e non un dovere, non una fatalità, non una fede… La vita come mezzo di conoscenza. Con questo principio nel cuore si può non soltanto valorosamente, ma anche gioiosamente vivere e gioiosamente ridere. ”
F. Nietzsche, da La gaia scienza

Ma la vera forza e bellezza della conoscenza consistono proprio nella contemplazione: essa abbraccia ogni cosa in un’unica visione che tende a trovare un'”armonia oggettiva” nel complesso. Essa libera la mente dai meschini scopi personali ed elimina quella divisione apparente tra il sè e la realtà esterna che il più delle volte la si crede unicamente ostile. Solo così l’anima dell’uomo riuscirà a scorgere una nuova profondità e un infinità globale che lo renderanno libero e partecipe di tale bellezza: conservando questa visione anche nella vita di tutti i giorni, allora essa prenderà forma nell’ambito dell’azione e del sentimento. Sarà possibile accorgersi che solo l’amore e la giustizia sono le sfaccettature di una stessa verità universale racchiusa nell’umanità e che le mura che cingono ogni uomo mettendolo in guerra col resto del mondo, sono solo illusioni prodotte da falsi valori indotti da una società individualistica e competitiva.
Le cose possiedono valore e significato solamente rispetto al grado d’attenzione che ognuno vi dedica: tanto più si è riflessivi, meditativi e “recettivi”, tanto più si riuscirà a penetrare l’essenza stessa delle cose e quindi, della loro bellezza e significato. Sarebbe un vero peccato vivere non accorgendosi dell’infinita bellezza e significato che la vita contiene e ha da proporci. (Mi viene in mente il film “Il sapore della ciliegia” di Kiarostami, in cui il protagonista alla fine evita di suicidarsi solo per riassaporare il dolce sapore della ciliegia…)
C’è un grande mistero che attornia l’universo intero a partire dall’enigma più complesso che è l’uomo, tentare di scoprirne tutta la profondità scardinando l’arroganza dogmatica che preclude la mente alla speculazione, costituisce per l’uomo il massimo bene.

Per quanto sia grande il chiasso che si fa nel mondo per errori e opinioni, devo però rendere giustizia all’umanità avvertendo che gli uomini impigliati in errori e false opinioni non sono poi tanto numerosi come si suppone di solito. Non perchè penso che riconoscano la verità, ma perchè intorno a quelle dottrine che danno tanto da fare a loro e agli altri non hanno effettivamente nessuna opinione e nessun pensiero. E se infatti uno catechizzasse un poco la più gran parte di tutti i partigiani delle sette del mondo, troverebbe che intorno alle cose sulle quali si impegnano con tanto zelo non hanno personalmente una qualsiasi opinione, e meno ancora avrebbe motivo di credere che l’abbiano accolta in seguito a un esame dei motivi e a un’apparenza di verità; essi invece sono risoluti a tenersi stretti al partito per il quale l’educazione o l’interesse li hanno reclutati e, come i comuni soldati dell’esercito, manifestano il loro zelo e il coraggio secondo le direttive dei loro comandanti, senza indagare mai o soltanto conoscere la causa per la quale combattono. Se il tenore di vita di un uomo indica che non prende affatto sul serio la religione, perchè dovremmo credere che egli si romperà la testa intorno all’ordinamento della Chiesa e si sforzerà di esaminare i fondamenti di questa o quella dottrina. A lui, obbediente a chi lo guida, basta aver pronte la mano e la lingua per sostenere la causa comune e in questo modo fare buona prova presso coloro che gli possono procurare autorità, promozioni e protezione nella società alla quale appartiene. Così gli uomini diventano seguaci e propugnatori di opinioni delle quali non si sono mai convinti, delle quali non sono mai stati proseliti, le quali non sono mai passate per la loro mente. Dunque, benchè non si possa dire che il numero delle opinioni inverosimili e d errate sia nel mondo minore di quanto non sia, è pur certo che ad esse aderiscono in realtà, prendendole erroneamente per verità, meno persone di quanto generalmente non si immagini.
Locke, da Saggio sull’intelletto umano

b) La saggezza del cuore

“L’abuso di libri uccide la scienza. Credendo di sapere quello che si è letto, ci si crede dispensati dall’apprendere. Troppe letture servono solo a creare ignoranti presuntuosi.”
Rousseau, dalle Confessioni

La speranza di ottenere risposte e verità fondamentali per mezzo della ragione e dei principi logici risulta però vana, sia perchè la mente umana possiede dei forti limiti, sia perchè un buon esame critico riuscirebbe a smontare qualsiasi ipotesi creata. La logica, seppur un formidabile mezzo a disposizione dell’uomo, come ci è stato spesso dimostrato dai filosofi, incappa spesso in contraddizioni evidenti: contraddizioni però che sono tali nella logica, ma che si rivelano poi illusorie nella totalità della dimensione umana. Poco niente si riesce a dimostrare “a priori” in base alle considerazione di ciò che dovrebbe essere. L’apparente perfezione della ragione ha una macchia evidente che stona con la natura umana, ovvero è spesso carente rispetto ai bisogni e l’essenza stessa dell’uomo; allora mi vengono in mente tanti nella storia che hanno sminuito il valore della ragione come il solo mezzo per giungere la verità.

Primo fra tutti Pascal, che affermava che certe verità possono essere conosciute solo dal cuore, non con la ragione: “Se c’è un Dio, egli è infinitamente incomprensibile, perché, non possedendo né parti né limiti, non ha alcuna proporzione con noi. […] Dio esiste oppure non esiste? Da che parte ci decideremo? La ragione non può decidere nulla; c’è di mezzo un caos infinito. Si giuoca una partita, all’estremità di questa distanza infinita, dove risulterà testa o croce. Su che cosa puntare? Secondo ragione, non potete scegliere né l’uno né l’altra; secondo ragione, non potete escludere nessuno dei due. Dunque non accusate di falsità coloro che hanno fatto una scelta, perché non ne sapete niente. […] L’ultimo passo della ragione è riconoscere che c’è un’infinità di cose che la sorpassano, il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce.” (da Pensieri).

Il grande Dostoevskij, che forse più di tutti aveva a cuore l’ardua missione dell’affannosa ricerca della verità, sapeva bene cosa avrebbe significato voltarle le spalle o perdersi in una qualche illusione. Ma nonostante questo D. non cercò mai quella felicità frutto di un processo etico, di una dialettica filosofica, di un equilibrio. Anzi, ha sempre tentato nei suoi romanzi di far venire a galla quella parte più profonda e celata dell’oscuro e intricato animo umano, il più delle volte rivelando le bassezze, le miserie e le mediocrità di assassini, giocatori d’azzardo, ladri, prostitute, pezzenti, uomini-topi. Questo perché D. sentiva prima di pensare che insito nell’anima dell’uomo c’è un anelito, una sete d’infinito, un misterioso male, un ignoto che, consapevoli o no, grida orrende urla mute. Aveva capito che non gli sarebbe bastato un perfetto e armonico equilibrio raggiunto con la ragione per far tacere questa voce molesta, anche se sarebbe stato poi capace di cose bellissime e grandiose, di meravigliose imprese o di stabili basi durature. Esiste nell’uomo un abisso di una profondità tale che nemmeno la mente più sviluppata può colmare. E D. è stato il primo a rendersi conto di questa verità di cui solo un maledetto russo poteva accorgersi.

E ancora Bukowski e la sua vita impossibile da paria sociale, le sue sbronze e le frasi vomitate dentro a qualche squallido night: “Se hai intenzione di provare vai fino in fondo altrimenti non cominciare neanche …Potrebbe voler dire perdere la ragazza, la moglie, i parenti, il lavoro e forse anche la testa. Potrebbe voler dire non mangiare per tre, quattro giorni. Potrebbe voler dire gelare su una panchina del parco. Potrebbe vole dire la prigione. Potrebbe voler dire la derisione, lo scherno, ’isolamento. L’isolamento è il premio… tutto il resto è un test di resistenza per vedere fino a che punto sei veramente disposto a farlo e tu lo farai, nonostante i rifiuti e le peggiori probabilità di successo, e sarà meglio di qualunque cosa tu possa immaginare. Se hai intenzione di provare vai fino in fondo, non c’è una sensazione al pari di questa, sarai da solo con gli dei e il fuoco incendierà le tue notti. Cavalcherai la tua vita dritto verso una risata perfetta, è l’unica battaglia buona che ci sia.” (da Factotum)

L’immortale H.Hesse che più di tutti scrisse così dettagliatamente del contrasto tra la sfera della ragione e dei sentimenti: l’umanità intera avrebbe perso molto di più se non fosse mai esistito una personalità di pura passione sregolata e così stracolma di vita come Mozart, che uno eticamente perfetto e “alto” come Socrate o Cristo, scrisse in un suo romanzo.
Tutto ciò mi ricorda anche quelle pazze figure indomite dei “bohemiens” o dei “Wanderers” ottocenteschi e dei loro “Bildungreise” (viaggio di formazione) e “Wanderlust” (anelito al viaggio): personaggi inquieti che viaggiavano continuamente alla ricerca del nuovo, dell’esperienza di un altro mondo che rappresentava un rifiuto dei valori del villaggio e della famiglia, ovvero di una vita tranquilla, tipici del “filisteo” chiuso nel suo mondo limitato e ristretto. Tutte attività di una libertà straordinaria che rispondevano ad un’attività interiore e non ad un esigenza produttiva esteriore: proprio come l’allegoria della poesia che, nella sua inutilità, riesce tuttavia ad esprimere sentimento, amore e gioia di vivere.

“A chi dio vuol concedere una vera grazia
lo fa viaggiare per il vasto mondo
a scoprire le sue meraviglie
per monti e valli e boschi e campi e fiumi.

I pigri chiusi in casa
non sono rallegrati dall’aurora
e sanno solo il pianto dei bambini
e angustie e noie e l’ansia per il pane.

Dai monti sgorgano i ruscelli,
lassù le allodole trillano di gioia,
perchè non devo anch’io cantar con loro
a piena voce e con felicità?

Al buon Dio mi voglio affidare,
egli che regge cielo e terra
e ruscelli e allodole e boschi e campi
anche i miei giorni al meglio ha programmato.”

Eichendorff, da Vita di un perdigiorno

O il pazzo e coraggioso C. McCandless, altro inquieto viaggiatore, rappresentato recentemente nel film “Into the wild” di S.Penn: “se ammettiamo che l’essere umano possa essere governato dalla ragione, ci precludiamo la possibilità di vivere”.

E allora forse “la voce del cuore è la più grande verità” come diceva G.Gaber, e forse non è nemmeno sbagliato “piantare un chiodo” sui Libri di filosofia e di religione che oramai non sanno più rispondere alle esigenze umane e “che non hanno mai salvato il mondo” (dal film “Centochiodi” di E.Olmi). Così tutto ciò diventa la metafora di una nuova libertà dell’uomo che va ricercata nella sua semplicità, nella purezza dei suoi sentimenti espressi dall’amore di un “Cristo della strada” che, libero dalle vecchie idolatrie passate racchiuse in libri morti, incarna vita e amore. Non più quindi una saggezza che attinge ai libri ma alla vita, una filosofia di vita che sfocia non alla cattedra ma all’umanità.

“Io ne ho abbastanza delle persone che muoiono per un’idea. Non credo nell’eroismo, so che è facile e ho imparato che era omicida. Quello che m’interessa è che si viva e si muoia di quello che si ama.”
di A.Camus

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