ecco cosa cambia nella geografia del Belpaese
di Filippo Panza
Una rivoluzione sta per scoppiare davanti ai nostri occhi. Ancora una volta è colpa della crisi economica. Ma non si tratta di una sommossa provocata da operai, che hanno perso il lavoro o dalle tante persone che ormai fanno fatica ad arrivare a fine mese. Lo stravolgimento dell’esistente riguarda le nuove Province. Ed è un cambiamento radicale, pronto a partire. Il decreto legge del Governo Monti, che taglia ben 36 Province, infatti, sarà esaminato nel primo Consiglio dei ministri di novembre. Da quel momento, considerando solo le Regioni a Statuto ordinario, nel Belpaese avremo 50 Province, un numero che comprende anche le dieci Città metropolitane. Sarà la ‘morte civile’ per molti enti locali, che possono raccontare una storia lunga almeno quanto l’Unità d’Italia. E le modifiche non finiscono qui. Presto, infatti, al massimo nei prossimi 6 mesi, si aggiungerà una decina di cancellazioni nelle Regioni a statuto speciale, che potranno godere di una maggiore libertà sulle modalità e sulle scelte.
Le decisioni del Governo sono state annunciate dal ministro della Pubblica amministrazione, Filippo Patroni Griffi. Dovrebbero garantire risparmi da 4,5 miliardi nel 2012, 10,5 nel 2013 e 11 nel 2014. E disegnano una nuova mappa territoriale. Da Nord al Sud i giochi sono ormai fatti.
In Piemonte salve Torino (Città metropolitana) e Cuneo, accorpate Alessandria e Asti, così come Vercelli, Biella, Verbano/Cusio/Ossola, Novara. In Lombardia rimarrà Milano (Città metropolitana) oltre a Brescia, Bergamo e Pavia. Accorpate Como, Varese, Monza Brianza; Lodi, Mantova, Cremona; Sondrio e Lecco. In Veneto si salva Venezia (Città metropolitana), Vicenza e Verona, mentre Rovigo e Padova saranno accorpate così come Belluno e Treviso. In Friuli Venezia Giulia dovrebbero rimanere le Province attuali, ma con compiti consultivi. In Liguria saranno unite Savona e Imperia, mentre per Genova (Città metropolitana) e La Spezia non ci saranno cambiamenti. In Emilia Romagna solo Bologna (Città metropolitana) e Ferrara resteranno invariate. Accorpate invece Modena e Reggio Emilia; Parma e Piacenza; Ravenna, Forlì/Cesena e Rimini. In Toscana si salva solo Firenze (Città metropolitana). Accorpate invece Grosseto, Siena e Arezzo; Lucca, Massa Carrara, Pistoia e Prato; Pisa e Livorno. In Umbria Perugia si unirà a Terni. Nelle Marche restano Ancona e Pesaro/Urbino. Accorpate Ascoli Piceno, Macerata e Fermo. Roma (Città metropolitana) unica Provincia che resterà invariata nel Lazio. Accorpate Frosinone e Latina, Rieti e Viterbo. Si passa da quattro a due in Abruzzo: L’Aquila/Teramo e Pescara /Chieti. Una sola in Molise con l’accorpamento di Campobasso e Isernia, così come in Basilicata dove si uniranno Potenza e Matera.
Tre Province salve in Campania: Napoli (Città metropolitana), Salerno e Caserta. Accorpate Avellino e Benevento. In Puglia Bari (Città metropolitana) e Lecce non subiranno variazioni. Accorpate invece Foggia con Barletta/Andria/Trani e Taranto con Brindisi. Infine in Calabria resterà solo Reggio Calabria, Città metropolitana. Accorpate Cosenza e Crotone così come Catanzaro e Vibo Valentia. La Sardegna invece ha già deciso con un referendum di dimezzare le Province, passando da 8 a 4: Cagliari, Sassari, Nuoro, Oristano. Nessuna variazione infine per Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige e Sicilia.
Le regole fissate con la legge sulla spending review hanno stabilito criteri molto rigidi. Saranno messe insieme le Province che hanno meno di 350 mila abitanti o un’estensione inferiore ai 2.500 chilometri quadrati. Fatti gli accorpamenti, si procederà in maniera piuttosto spedita. Dalla fine di giugno del 2013 tutte le Province, anche quelle che non si vedranno toccare i confini, saranno guidate da un commissario, con la possibilità di trasferimento per i dipendenti. Ancora da stabilire se questa figura, che dovrà curare la transizione verso il nuovo regime istituzionale, sarà esterna, nominata dal prefetto, o se si tratterà del presidente uscente della Provincia. Le nuove realtà istituzionali eserciteranno le competenze in materia ambientale, di trasporto e viabilità. Perderanno, invece, alcune funzioni tra le quali quelle che riguardano il mercato del lavoro e l’edilizia scolastica. Alle porte cambiamenti anche sui sistemi elettorali. Se la Corte costituzionale nei prossimi giorni darà il via libera, i consiglieri provinciali saranno eletti non più dai cittadini ma dai consiglieri comunali.
Le nuove Province arrivano dopo mesi di polemiche e accesi campanilismi. D’altro canto alcune scelte sembrano andare contro secoli di storia e tradizioni locali. E’ il caso, ad esempio, della Provincia Sannio-Ipinia o Irpino-Sannita, che non tiene conto della rivalità tra Avellino e Benevento. A nulla sono valsi i tentativi della città del liquore Strega di far valere la particolarità della storia del territorio sannita. Non è servito nemmeno proporre una cessione e accorpamenti di Comuni. Troppo piccola e poco popolosa la provincia di Benevento, che, però, grazie ai suoi 62mila abitanti rispetto ai 56mila di Avellino, dovrebbe essere il capoluogo del nuovo ente. Per la terra che ha dato i natali a San Pio da Pietrelcina, sembra restare un’ultima possibilità di autonomia. Un referendum con il quale la Provincia di Benevento passerebbe nel Molise, dove Campobasso ed Isernia diventeranno un’unica realtà.
La scelta di abbandonare la propria Regione di appartenenza per continuare a sopravvivere è l’obiettivo anche di Piacenza. Il capoluogo emiliano, che, secondo il decreto sarà accorpato a Parma, vorrebbe far parte della vicinissima Lombardia. E la Cassazione ha dato il via libera al referendum, che, invece, era stato negato a Belluno. Quest’ultima, come Sondrio, può ancora sperare in una deroga perché ha tutto il territorio in zona di montagna. Altrimenti sarà accorpata a Treviso, che perderà la sua autonomia per appena 23 chilometri quadrati. Non si salveranno per pochissimo anche Viterbo e Latina, rispettivamente 30mila residenti e 49 chilometri quadrati in meno di quanto stabilito dal governo Monti. Non mancano i casi all’insegna dell’a volte ritornano. E così Fermo ed Ascoli Piceno, dopo essersi divise pochi anni fa, torneranno insieme. Questa volta in un ménage à trois con Macerata. E’ durata solo 20 anni l’indipendenza di Lodi, che, dopo anni di battaglia per staccarsi da Milano, formerà un’unica Provincia con Mantova e Cremona. Anche per Rimini è ora di perdere la propria autonomia, conquistata solo nel 1992. Nascerà una Provincia romagnola con Forlì/Cesena e Ravenna. Brevissima storia anche per la Bat (Barletta, Andria e Trani), dove le prime elezioni si sono tenute nel 2009, che ora si unirà a Foggia.
Tra le Regioni, dove più forti sono i malumori, si devono citare la Toscana e la Lombardia. Nella culla del Rinascimento italiano Pisa e Livorno, accese rivali, dovranno andare a braccetto nonostante la città della Torre pendente non rispetti per un soffio il criterio dell’estensione territoriale. Più di una perplessità anche da parte di Arezzo, che si trova accorpata a Siena e Grosseto. In Lombardia, invece, si sono fatti sentire a lungo i mal di pancia della Provincia di Monza e Brianza. I numeri, però, condannano alla ‘mortalità infantile’ un ente, attivo solo dal 2009, che rappresenta una popolazione di ben 800mila abitanti, ma ha un’estensione territoriale di poco più di 400 chilometri quadrati. Alle porte l’unione con Como e Varese, nonostante il disaccordo di tutti e tre i protagonisti. E se le Province piangono, i Comuni non ridono. Da più parti si alzano inviti a diminuirli. In epoca di tagli, non ci si può permettere di averne 8mila, di cui la metà con meno di 5mila abitanti. Ma nei piani del ministro Patroni Griffi l’accorpamento dei Comuni non è all’ordine del giorno. Almeno per ora.
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