Un rapporto esplosivo: le speculazioni finanziarie sulla fame

( Questo è un estratto di un interessante articolo di Der Spiegel pubblicato dalla rivista Internazionale sul n.918)

La virtualizzazione speculativa della finanza senza regole ha colpito anche i generi alimentari. Com’è stato possibile che i fondi speculativi siano arrivati a determinare il costo del pane in Tunisia, della farina in Kenya o del mais in Messico?
Heiner Flassbeck, economista capo dell’Unctad, è da tempo preoccupato per queste dinamiche speculative. Dopo il crollo finanziario del 2008, Flassbeck ha cominciato a seguire con attenzione l’andamento dei prezzi nel settore delle valute, delle materie prime, dei titoli di stato e di quelli azionari. Ha scoperto che le curve dei grafici erano praticamente identiche. Allora ha creato un’équipe per esaminare il fenomeno.

Un rapporto esplosivo
Il contenuto della sua ricerca è esplosivo. Il mercato delle materie prime, hanno concluso i ricercatori dell’Unctad, non funzio¬na secondo il classico modello economico in base al quale il prezzo è determinato dall’incontro tra la domanda e l’offerta. Nella ricerca dell’Unctad si legge che le attività degli operatori finanziari “spingono i prezzi delle materie prime molto oltre i livelli giustificati dai dati fondamentali del mercato”. In questo modo i prezzi sono fortemente distorti, non influenzati da fattori reali ma da una previsione di miglioramento o di peggioramento dell’andamento economico.
Quasi tutti gli investitori che si avventurano nel mercato delle materie prime non hanno idea di come funzioni il settore. “Vogliono solo diversificare i loro investimenti, inserirsi in mercati in crescita o semplicemente fare quello che fanno tutti”, spiega il rapporto dell’Unctad.
Ma com’è stato possibile che gli hedge fund e le banche d’investimento siano arrivati a determinare il costo del pane in Tunisia, della farina in Kenya o del mais in Messico? Cos’ha spinto importanti fondi pensione e piccoli investitori a giocare d’azzardo con il cibo di tutto il mondo?
Come mai è alle borse di Chicago, di New York e di Londra che si decide quante persone soffriranno la fame?
La colpa è di un mutamento del mercato che per anni è passato quasi inosservato e che tuttavia è carico di conseguenze. L’alta finanza ha fatto un paio di mosse e ora quello che garantisce la sussistenza dell’umanità è diventato un oggetto su cui speculare.
Per molto tempo il commercio delle materie prime alimentari è rimasto entro i binari tradizionali della domanda e dell’offerta. Ma nel frattempo è nato un mercato dei future quotati in borsa: per garantirsi contro le oscillazioni dei prezzi, i produttori vendevano in anticipo il loro raccolto a un prezzo fisso per lo più leggermente inferiore a quello corrente. Alla data di scaden¬za del contratto future, la merce veniva consegnata. Se in quel momento il prezzo era inferiore a quello del future, il coltivatore ci guadagnava, mentre se era superiore, a guadagnarci era l’investitore.
Queste scommesse sul futuro convenivano a tutti: gli agricoltori e gli stabilimenti di lavorazione dei prodotti alimentari si garantivano contro i rischi, gli operatori finanziari rifornivano il mercato di liquidi e i compratori delle merci potevano contare su una fonte affidabile di approvvigionamento. A questo settore aveva accesso chi era direttamente coinvolto nell’industria agricola. Le banche avevano solo un ruolo secondario. Era una specie di operazione a credito, e funzionava bene. Per decenni questo mercato è stato relativamente stabile, ma poi è stato scoperto dalla finanza.

Il futuro trasforma il presente
Il trucco è che gli speculatori non riscattano mai i loro future con beni reali. I gestori dei fondi vendono i contratti, della durata di circa settanta giorni, poco prima della loro scadenza e con il denaro ottenuto acquistano altri future. Così il sistema è come un moto perpetuo e gli investitori non entrano mai in contatto con i prezzi reali di mercato. […]

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