Vladimir Luxuria, in una recente intervista sul Venerdì, ha dichiarato che le quote rosa le ricordano la legge 381, quella che impone alle cooperative sociali di assumere almeno il 30 per cento di personale pescandolo nelle categorie svantaggiate (ex tossicodipendenti, disabili, eccetera). Facile. Un pensiero condiviso e spesso ostentato. Sulle quote rosa, in Italia, c’è da sempre molto scetticismo, un po’ di confusione, e uno spreco di fair play mischiato ad orgoglio. Non ci servono, anzi, ci danneggiano. Ci impongono, quando dovremmo essere noi a imporci per i nostri meriti.
Non mi ha mai convinto questo ragionamento, e ne ho avuto conferma durante il confronto televisivo tra i cinque candidati alla primarie del Pd. Ricorderete che, da ultimo, è stato chiesto a ognuno di loro di spiegare, nei soliti due minuti a disposizione, le ragioni per cui avrebbe dovuto essere preferito agli altri quattro. Laura Puppato ha risposto: votatemi perché sono una donna.
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Per quanto possa sembrare paradossale, la risposta di Puppato dà ragione a chi ritiene invece che le quote rosa siano necessarie per riassestare una situazione completamente squilibrata. Chi ha potere non lo cede, chi
ha privilegi non ci rinuncia. Perché le donne abbiano più spazio in politica e nel lavoro, qualcun altro deve fare un passo indietro, cedere poltrone. Non accadrà mai perché ne senta la necessità morale, ma solo e quando vi sia costretto.
In quel momento, quando potremo scegliere tra diversi candidati uomini e diversi candidati donne, non avremo bisogno di votare una donna perché donna, ma perché, oltre che donna, è la/il nostra/o candidata/o
preferita/o…. poi affrontiamo anche la questione del linguaggio sessuato. (ELENA STANCANELLI, 19 novembre 2012)
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