L’ultimo ricordo

C’era in quel tempo carico d’attesa
la certezza degli esiti infiniti .
Era felicità !…Non lo sapevo.
Era il giorno lontano dalla sera
e in me la gioventù già traboccava
in esultanti e non arresi sogni.
… Su quel sentiero passo dopo passo
m’accompagnò per fulgidi cammini
soltanto ignoti a chi non riconosce,
gli sguardi chiari ed avidi di vita,
le praterie tra valli ed impetuose
cascate d’acqua cristallina e pura.
S’affaccia al cuore quella melodia
Madre dolente di trascorsi affetti
e nel naufragio non c’è più riparo.
se in ore colme d’ansia volge il giorno
allora arcobaleno e nell’attesa
tra nubi resta e inutili stagioni
Cosa mai rimarrà della mia vita
se l’eco manca di quel canto lieve
e la speranza manca del perduto
sogno, che va morendo, nella sera?
Null’altro che il silenzio a frantumare
d’amati suoni, l’ultimo ricordo.

Zenith e Nadir

Stagione che muore nel vento
in questo autunno intriso di colori.
Sincronie d’un melodioso feeling mai raggiunto.
Nella mente un pensiero vaga per il mondo
E, senza sosta, fa di sé dono estremo che fiorisce
in rive d’azzurro intenso.

Lo Zenith e il Nadir, questo noi siamo
due punti fermi in verticale inscindibile destino
questo noi siamo!

Canzone che corre nel vento
trasportata da fiumi d’armonie ricercate e
mai raggiunte, nel frastuono angosciante di parole
che il cuore non vuole ascoltare ed orfane si danno
senza suono lambendo un silenzio che, disumano
strazia, il frammentario divenir del nulla.

Lo Zenith e il Nadir, questo noi siamo.
Anime opposte a ricercare l’approdo fantasma
questo noi siamo!

Tra viali assolati ed altri ombrosi
le Moire infine scioglieranno i fili di una vita .
Madre severa
d’armonie profonde, che come scrigno
conservò a tesoro, verbi taciuti e nostalgie sofferte.
Allora forse il messaggero alato, raggiungerà i due punti…
e sarà luce.

Lo Zenith e il Nadir questo noi siamo!

La profonda meditazione poetica e filosofica sul destino umano della poetessa Nadia Angelini passa attraverso la bella e reinventata metafora delle “stagioni” – parola frequentemente ripe-tuta – nelle due liriche qui presentate, legata ad un’altra immagine, quella dello Zenith e del Nadir.
E’ tra questi due estremi (Lo Zenith e il Nadir, questo noi siamo / due punti fermi in verticale inscindibile destino /questo noi siamo!), infatti, che si colloca il passaggio breve e intenso delle stagioni, il sentiero, il cammino dove passo dopo passo si dipana la vita: tra il tempo carico d’attesa, la gioventù, e il tempo della sera, dove volge il giorno (che) tra nubi resta e inutili stagioni (L’ultimo ricordo).
La parola Zenith deriva dal vocabolo arabo che significa “cammino dritto” ed è l’opposto della parola nadir che proviene dall’arabo con il senso di “opposto”: la loro contrapposizione corrisponde al circuito evolutivo-involutivo di ogni esistenza che si sviluppa nel tempo. Lo Zenith indica il momento dell’emiciclo evolutivo e, di conseguenza, l’inizio del declino, il punto di partenza dell’emiciclo involutivo. Il Nadir, al contrario, è il punto più basso del processo involutivo e l’inizio del processo evolutivo.
Le stagioni sono state diversamente rappresentate nelle arti: la primavera, da un agnello, un capretto, un arbusto o corone di fiori; l’estate, da un drago che sputa fiamme, una spiga di grano o una falce; l’autunno, da una lepre, pampini o corni dell’abbondanza carichi di frutta; l’inverno, da una salamandra, un’anatra selvaggia o fiamme in un focolare ecc. La primavera è consacrata ad Ermes, il messaggero degli dei; l’estate ad Apollo, il dio solare; l’autunno a Dioniso, il dio delle vendemmie; l’inverno, a Efesto, il dio delle arti del fuoco e dei metalli. Ma per Nadia Angelini è lontana la mitologia e le tappe della vita diversamente sono presenti. La successione delle stagioni, come quella delle fasi della luna, scandisce il ritmo della vita, i momenti di un ciclo di sviluppo: nascita, formazione, maturità, declino; ciclo che conviene agli esseri umani come alle loro civiltà e associazioni. Ancora la successione delle stagioni illustra egualmente il mito dell’eterno ritorno, l’alternanza ciclica e i perpetui inizi.
Per Nadia Angelini si tratta di una meditazione sull’esistenza umana e sullo scorrere del tempo che illude, inganna e non mantiene ciò che promette: dai languori struggenti di speranze, promesse e sogni inesausti e perduti, all’inverno che muore; dal tempo in cui ogni gemma si schiude al sole, al triste autunno; dal tempo carico d’attesa, alla sera e al naufragio.
Il poeta è il centro del suo vissuto; ogni esperienza, ogni emozione è racchiusa nel suo cuore (tutto in me è racchiuso, Ti cercherò) e nulla andrà perduto perché il tempo che regna padrone incontrastato della vita non può competere con l’eternità.
Nessuna disperazione, nessun pessimismo profondo ma serena consapevolezza in questi versi. Nella certezza che l’uomo è fatto di opposti e che la Natura, che Nadia sente profondamente, è bella, al grido dolente che ripete la poetessa Cosa mai rimarrà della mia vita, la risposta è chiara: la Poesia.

Fausta Genziana Le Piane

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