di Laura Tussi
Il migrante è a-topos, un curioso ibrido privo di posto, uno “spostato” nel duplice senso di incongruente e inopportuno, intrappolato in quel settore intermedio dello spazio sociale in posizione mediana tra essere e non essere, tra non essere cittadino né straniero, né dalla parte di sé stesso né di quella dell’altro, esistendo solo per difetto nelle comunità d’origine e per eccesso nelle società riceventi, generando in entrambe recriminazione e risentimento.
Le problematiche dell’identità e dell’appartenenza sono fondanti per coloro che intraprendono un percorso migratorio, nell’ambito del quale il contesto di origine costituisce la base solida di riferimento e certezza per poter affrontare nuovi mondi, nuove società e relazioni, riempiendo un vuoto di solitudine, spaesamento, indifferenza e ostilità. L’origine sono un tempo e un luogo mitici, che definiscono identità e appartenenza: il meccanismo di riconoscimento interno alla comunità permette di smussare le asperità della comunicazione con l’esterno, in linguaggi e codici affettivi differenti, da cui possono nascere incomprensioni, conflitti, omissioni. La condivisione di esperienze e di racconti di vita con stessi codici interpretativi, in un bagaglio valoriale e culturale univoco, è vettore privilegiato di comunicazione e negoziazione di inserimento in un territorio straniero. L’esperienza della migrazione comporta una serie di cambiamenti che inducono il migrante a mettersi in discussione, a ridefinirsi, nell’intento di ritrovarsi, ripensando la sua stessa identità.
L’ingresso in un nuovo mondo culturale tende a incrinare certezze e punti di riferimento nel migrante, provocando profonde crisi di identità. I presupposti del dialogo sono rintracciati nella reciproca capacità di annullare le barriere dell’incomprensione, permettendo l’emergere dei punti di forza dell’incontro, come il concetto di laicità, la democrazia, il rispetto dei diritti umani e individuali, il pluralismo e la valorizzazione della società civile. I migranti portano con sé frammenti di identità particolari.
In un’Europa che sta affrontando la dialettica tra modelli di in-
integrazione, tra retorica del multiculturalismo e dell’assimilazione le identità migranti rappresentano l’esito di forme di negoziazione conflittuale comportanti la dialettica di esclusione e inclusione e generano nuove appartenenze dialoganti, proprio perché ad attraversare lo spaesamento di spazio e di tempo non sono entità univoche, ma soggetti che reinterpretano e ricodificano le appartenenze e le identità in pratiche collettive, simbologie e rituali che scandiscono luoghi e tempi originari, in individualità autonome e separate, in concezioni soggettive dell’essere fedeli, religiosi, credenti.
Così, ad esempio, la ricostruzione dei contesti sociali e culturali islamici in terra di immigrazione esprime un’esigenza di comunità che interpreta la nuova realtà circostante, in un bisogno di socialità e condivisione nello spaesamento, nell’indifferenza, nella solitudine, che allude all’ambiguità dell’appartenenza, all’incertezza del senso, alla possibilità di scelta. I migranti pongono alla nostra società domande in termini di accoglienza e di riconoscimento giuridico e sociale, inducendo una seria riflessione sul nostro sistema valoriale, sulla nostra cultura, sul nostro modello societario nel modo di pensare le nostre comunità come aggregato sociale e sviluppando conflitti anche sul terreno dell’interazione culturale, sulla costruzione di senso della nostra società, che emargina, esclude, stigmatizza come devianti i comportamenti, le credenze e le culture difficilmente integrabili nel patrimonio di conoscenze e saperi della nostra civiltà.
Le comunità migranti, quando sentono rifiutate le loro istanze e sono ostacolate nel percorso di inserimento, tentano di ricostruire un sistema rituale e culturale strutturato in meccanismi di auto-ghettizzazione che costituiscono un ostacolo all’inserimento e al dialogo. Il progetto di accoglienza di una società si misura sulla capacità di far emergere i soggetti migranti dall’invisibilità giuridica e sociale, dando loro la possibilità di stabilirsi nel Paese di arrivo, di coltivare progetti di vita e di ricercare le condizioni per creare e realizzare un futuro personale, relativizzando le proprie certezze, i propri paradigmi valoriali, gli assetti societari, nella direzione di un riconoscimento sociale e giuridico che coltivi identità simmetriche e positive, nel dialogo, nell’incontro e nell’intesa dell’interazione.
Laura Tussi
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