Ora le anime belle dei partiti metteranno alla berlina la Consulta. Ne denunceranno l’ingerenza, l’invadenza, la supplenza. No, è la loro assenza che va piuttosto denunciata. È il vuoto politico che ha tenuto a galla per tre legislature una legge elettorale che costituisce di per sé un insulto alla democrazia. Perché non siamo più elettori, quando non possiamo decidere gli eletti. E perché i rappresentanti non rappresentano nessuno, quando per entrare in Parlamento usano il vecchio quiz di Mike Bongiorno ( Lascia o raddoppia?), grazie a un premio di maggioranza che premia in realtà una minoranza.
Certo, sarebbe stato meglio, molto meglio, che a scrivere le nuove regole del gioco fossero state le assemblee legislative. Nell’inerzia delle Camere, al limite avrebbe potuto provvedervi con decreto lo stesso esecutivo, dato che ogni decreto va pur sempre convertito in legge. Una sentenza costituzionale non è la via maestra, non è mestiere della Consulta scrivere le leggi elettorali. Ma fra il nulla e la sentenza, meglio la sentenza. Alla fine della giostra, è infatti di questo che si tratta: un rimedio estremo rispetto a un danno estremo. Dunque un insuccesso per la democrazia dei partiti, un successo per lo Stato di diritto. Significa che dopotutto c’è ancora un giudice a Berlino, come sospirava il mugnaio di Potsdam.
Con quali conseguenze, sul piano del diritto? E con quali argomenti di diritto? Questi ultimi li conosceremo quando verrà depositata la sentenza, corredata dalle sue motivazioni. Per intanto c’è solo un comunicato, e anche alquanto scarno. Ma basta per tirare alcune conclusioni. Primo: non ritorna in vigore il Mattarellum, pace all’anima sua. La Consulta non ha cassato l’intera legge elettorale, manca pertanto il presupposto per riesumare la normativa preesistente. Secondo: via il premio, sia alla Camera che al Senato. Ne scaturisce dunque un proporzionale puro, con soglie minime per guadagnare seggi. Con meno del 2%, ogni partito otterrà il suo posto in Paradiso. Non è esattamente l’ideale per governare quest’Italia sgovernata, però i partiti hanno tutto il tempo per correggere, emendare, riformare.
E anzi dovranno farlo, giacché la Consulta ha annullato pure le liste bloccate, nella parte in cui impediscono al popolo votante d’esprimere una preferenza sul popolo votato. Come? Qui è impossibile pretendere ricette dai giudici costituzionali: la loro funzione s’esercita soltanto in negativo, come diceva Kelsen. Servirà quindi un’operazione di cosmesi, ma non è la prima volta che la Consulta mette il legislatore in mora. Un caso analogo si registrò al tempo del referendum sul maggioritario (sentenza n. 32 del 1993), e almeno in quella circostanza il legislatore fu solerte. Sancendo così il passaggio dalla prima alla seconda Repubblica; e vedremo a breve se questa sentenza sarà il preludio della terza. Nel caso, dovremo innalzare un monumento a due signori, alla loro ostinazione. Aldo Bozzi, l’avvocato milanese di 79 anni che ha sollevato l’incostituzionalità del Porcellum. Roberto Giachetti, in sciopero della fame da 59 giorni per la sua riforma. Buon appetito a entrambi, ma a questo punto siamo tutti un po’ affamati (05 dicembre 2013).

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