viol1815 - LETTERA 
 AD UNO STALKER PRIMA CHE UCCIDA LA SUA DONNA

Caro Stalker,
permettimi di chiamarti così. Sono quasi sicura che tu rifiuterai questo appellativo perché non ti senti stalker, allo stesso modo dei violenti che non accettano di essere riconosciuti come tali, e gli assassini che rimuovono la loro ferocia quasi appartenesse ad altro da sé. Tuttavia da qualcosa bisogna partire per cominciare a parlare, ed io parto da qui. Sempre pronta a ricredermi però. Anche perché la decisione finale tra essere o non essere uno stalker è la tua.
Sgomberando il campo dagli squilibrati che immaginano possibili storie con donne virtuali, nel senso che nemmeno le conoscono e cominciano a perseguitarle con idee che stanno solo nella loro testa, mi interessa precisare che, tra le diverse tipologia di stalker, oggi mi rivolgo a chi comincia a fare stalking dopo essere stato abbandonato dalla propria donna, o dopo una separazione anche legale concordata, ma mai metabolizzata. Questo vale in egual modo per le donne stalker non meno esecrabili degli uomini, anche se percentualmente il fenomeno riguarda molto di più il genere maschile.
Per questo motivo c’è il tuo punto di vista che cerco di approfondire, caro Stalker. Vorrei guardare al fenomeno come se fossi un uomo. Per questo ti scrivo.
Mi immedesimo nel tuo stato, o almeno cerco di farlo per capire la tua sofferenza. È da lì che dobbiamo partire per tentare di conoscere ancor prima di giudicare.
Lei se n’è andata e tu soffri. È terribile. Chi di noi non ha sofferto almeno una volta nella vita per un abbandono? E allora con una sorta di reviviscenza alla maniera di Stanislavskij ritrovo antiche lacerazioni dell’anima tanto forti da rischiare di farmi uscire di senno rimuginando, al di là dei confini della razionalità, percorsi di catastrofici eventi.
Penso a te, caro Stalker, che arrivi a meditare di sopprimere la causa delle tue sofferenze.
L’azione violenta ti appare come l’unico lenitivo per la tua incontenibile afflizione. È qui il fulcro: un contenuto che non sta nel contenitore. Vorresti chiuderlo in un involucro a buona tenuta quel tuo corpo dolorante con fitte, mancanze, oppressione; ma non ci riesci. C’è un cuore che sanguina goccia dopo goccia, ed una mente che evade dal corpo per ideare l’impossibile riconquista, le strategie di recupero del rapporto, e se l’idea non funziona, pianifichi come opzione possibile la deflagrazione emotiva e la distruzione finale dell’oggetto del desiderio.
Scusami ragazza, o donna che tu sia, se ti chiamo “oggetto del desiderio” ma è questo che si diventa in certe circostanze. Niente di più, niente di meno. La volontà di chiudere un rapporto, i tuoi sogni, il rifiuto di continuare un’unione fallita, non contano. Come una proprietà privata tu dovresti esistere in funzione di lui in quanto acquisita ed inalienabile. Ma non voglio subito guardare al tuo punto di vista che conosco bene. Mi interessa lui, per questo gli scrivo.
Caro Stalker,
prima di proseguire spiego ancora che questa lettera è rivolta a persone in grado di ragionare, sicché non entro nel campo della medicina o della psicanalisi, né pretendo di dialogare con i malati di mente. Mi piacerebbe che questi non avessero esempi inquietanti che istigano ad azioni brutali come troppo spesso avviene con la scuola di violenza fornita dai media, soprattutto dalla tv, quando divulga la rivoltante pornografia della morte a cui troppa gente si ormai adeguata.
Ti scrivo poiché credo che tra un numero notevole di probabili stalker ci sia una rilevante percentuale di persone che, superata la fase acuta della sofferenza, riesca a razionalizzare il proprio comportamento e rinunciare a vendicarsi.
Persone che tornano in sé dopo aver alimentato per giorni e mesi il proprio desiderio di rivalsa con frasi del tipo “Perché dovrei soffrire solo io?” oppure, più banalmente, predicendo la devastazione totale, con parole del tipo “Muoia Sansone con tutti i Filistei”.
Anche se poi ‘sto Sansone il più delle volte resta vivo per cui va a dissolversi l’alone eroico dell’immaginario popolare in cui la morte di Sansone, nell’autodistruzione, è ricordata come l’unico riscatto possibile della persona offesa.
No. Non voglio che muoia Sansone, per l’amor di Dio! Si può fare altro di meglio… Leggi tutto / Commenta

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