Gentile dottor Pirani,
da lettrice attenta dei suoi articoli e da insegnante sento la necessità renderla partecipe della realtà di molte scuole, soprattutto istituti tecnici e professionali, in cui operano, in condizioni spesso di emergenza, tanti colleghi.
Come definire altrimenti, la paura che gli studenti estraggano taglierini e cacciaviti? O come valutare l’atteggiamento di ragazzi che rispondono all’appello voltando smaccatamente la schiena al docente, che lo apostrofano con epiteti quali”buffone” o “isterica”o “stressata, cambia lavoro”? Questi due ultimi esempi li traggo dalla mia personale esperienza, pluriventennale, di docente di diritto ed economia in vari istituti professionali del ricco Trentino.
Ed è stato proprio l’ennesimo avvilente episodio di strafottente arroganza a spingermi a scrivere una lettera carico degli assessorati all’istruzione o dei sovrintendenti scolastici. A loro, infatti, compete l’obbligo di assicurare condizioni di lavoro dignitose ed adeguate. Potrebbero, poi, rivalersi sulle famiglie dei singoli ragazzi: l’incapacità ad educare non deve ricadere sulle spalle di chi lavora, insegnando o tentando di farlo.
Quale lavoratore, infatti, getterebbe alle ortiche studi e specializzazioni per sentirsi costantemente umiliato dalla pochezza del proprio raccolto, dalla inesistente possibilità di incidere, dalla dequalificazione sociale, dalla mancanza di progetti generali e condivisi?
Gli insegnanti, nell’immaginario collettivo, non sono lavoratori: sono fannulloni da colpire, scansafatiche da oberare di attività collaterali spesso inutili, da vessare con non richieste lezioni di tuttologi e saccenti di varia natura.
Non hanno una dignità professionale da difendere dagli attacchi di famiglie a caccia di un comodo, pubblico e quasi gratuito parcheggio. Hanno sindacati che non ne difendono la professionalità, ma solo l’anzianità di servizio, che rifuggono ogni selezione in nome di un egualitarismo polveroso.
Gli insegnanti sono coloro che sopportano il quotidiano impegno di un’educazione sempre più orfana di educatori, affidata spesso alla televisione più bieca da parte di famiglie stanche, spesso impaurite dall’arroganza dei loro stessi figli, disgregate, imbelli.
La società del permissivismo e del” vietato vietare” ha prodotto frutti malefici, che si ripercuotono ( ed ancor più si ripercuoteranno) sul capo di giovani generazioni fragili, ignoranti, indifese ed incapaci di difendersi perché prive dell’abilità necessaria per decifrare un testo semplice , comprendere un comunicato, mostrare l’umiltà di apprendere e, persino, il decoro della persona.
Tanti colleghi mi hanno appoggiata quando, dalle pagine dei quotidiani locali, ho chiesto di risarcire, in moneta, lo studio frustrato, la dignità calpestata, la mancanza di reali strumenti per allontanare dalla scuola chi ne turba l’andamento.
Con i proventi si potrebbero aiutare i veramente capaci e meritevoli. Come vuole la Costituzione. Come vorrebbe il buonsenso dimenticato.

Giovanna Giugni

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