di Terry Eagleton
Non c’è dubbio che ciò che tutti vogliono sia la felicità. L’unico problema è in cosa consista essere felice. un problema su cui i pensatori morali non sono mai stati in grado di mettersi d’accordo, e su cui non lo saranno mai. La felicità è un sentimento puramente soggettivo, oppure può essere in qualche modo misurata? Si può essere felici senza saperlo? Si può essere felici soltanto senza saperlo? Qualcuno potrebbe essere completamente infelice, eppure essere ancora convinto di trovarsi in estasi?
Ai giorni nostri, il concetto di felicità si è spostato dalla sfera privata a quella pubblica. Come riferisce William Davies in questa affascinante ricerca, un numero sempre più crescente di aziende impiega funzionari della felicità, come Google che ha creato la figura del “jolly good fellow”. Allo stesso modo, potrebbe accadere che la Bank of England prenda in considerazione la possibilità di assumere un giullare. Consulenti specialisti in felicità danno consigli a chi è stato sfrattato a forza dalla propria abitazione su come deve fare ad andare avanti emotivamente. Due anni fa, la British Airways ha sperimentato un “plaid della felicità”, il cui colore passava dal rosso al blu non appena il passeggero si rilassava, in modo che il suo livello di soddisfazione potesse diventare visibile agli assistenti di volo.
Una nuova droga, il Wellbutrin, promette di alleviare i maggiori sintomi depressivi che insorgono dopo la perdita di una persona cara. Si suppone che potrebbe funzionare in maniera talmente efficace che l’American Psychiatric Association ha stabilito che rimanere infelici per più di due settimane dopo la morte di un altro essere umano potrà essere considearata una malattia mentale. Il lutto è un rischio per il proprio benessere psicologico.
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