Cos’è la Lettera Scarlatta?

… intanto è il titolo di un romanzo.
Americano. Della metà dell’ottocento. Il suo autore, Hawthorne ambienta La lettera scarlatta nella Nuova Inghilterra del diciassettesimo secolo, quel New England che per intenderci fu la culla dove nacque e crebbe il movimento noto come Puritanesimo.
Nel romanzo, Ester è condannata a morte per avere commesso adulterio.
Oltre a questo e tutta una serie di risvolti magistralmente esposti nel romanzo, ciò che a noi interessa è che Ester viene condannata anche a portare ricamata sul petto, fino al patibolo e oltre, una lettera scarlatta, la A di adultera, per testimoniare alla comunità il suo essere una pecora nera, perché non solo era rimasta incinta di un uomo che non era il marito, ma soprattutto aveva osato rifiutarsi di rivelare il suo nome e ancor di più di pentirsi.
Da allora, la Lettera scarlatta si è vista anche al cinema e a teatro.
Da allora è un simbolo, la marchiatura a fuoco, il marchio dell’infamia, ma anche il supremo atto di rivendicazione solitaria di chi, come Ester, non intende sottostare a regole e convenzioni che non ha contribuito a formare.

Il reato di adulterio viene cancellato in Italia nel 1969 dopo una sentenza della Corte Costituzionale. Ma questa è un’altra storia, te la racconto poi. Sappi soltanto che, con l’aborto in certi casi, era l’unico reato a… commissione femminile.

La nostra Lettera oggi

… intanto non ci viene imposta.
Siamo noi ad autodenunciarci, come è scritto nel documento dell’UDI Questo è il Tempo di una Lettera Scarlatta.
L’infamia ha cambiato segno e colore, non siamo più nel diciassettesimo secolo, per essere reietti ci vuole ben altro, ma quel simbolo può essere ancora usato per dire. Infame è termine usato oggi collettivamente quasi solo negli stadi, qualche volta in Parlamento. Appartiene al gergo mafioso, infame è colui che contravviene e/o rinnega regole ferree come quella di omertà e di obbedienza al capo.

L’autodenuncia dell’UDI ribalta il concetto della marchiatura a fuoco fondata su regole elaborate altrove.
Contiene in sé la consapevolezza di essere portatrici sanissime di una infamia, anzi di molte infamie collegate tra loro. In quel documento, le Donne dell’Udi dicono che le tre grandi questioni di cui ci occupiamo dal 2003, anno del Congresso in cui abbiamo messo al centro l’organizzazione, sono strettamente legate tra loro: ill Femminicidio, così come tutte le scelte legate al Generare oggi, così come la Democrazia Paritaria.

Io vorrei soffermarmi su alcuni punti, per dire meglio il mio sguardo sull’infamia, per tracciare meglio il mio segno scarlatto:
1) Udi nel 2003 non ha chiesto la modifica dell’art. 51 della Costituzione.
2) Udi nel 2005 non ha lamentato la mancata applicazione di quella riforma durante la discussione sulla legge elettorale.
3) Udi nel 2006 si è posta alla testa di una Campagna titolata 50E50… ovunque si decide! producendo testi e mettendo in moto pratiche politiche; e nel 2007 ha depositato le firme raccolte sul Progetto di legge Norme di Democrazia paritaria nelle Assemblee elettive, parte integrante della Campagna ancora in corso.
4) Udi non promuove iniziative antidiscriminatorie.
5) Udi non firma Appelli a Formazioni politiche per chiedere un aumento di presenza femminile nelle liste elettorali.

Mi fermo qui con i numeri. Potrei darne altri, soprattutto per dire cosa c’è nelle nostre proposte e cosa invece si è tentato altrove di tradurre, mistificandole. Potrei ribadire perché siamo contro le quote e contro le norme antidiscriminatorie sulle quali non solo le quote, ma molte pari opportunità si fondano. Ma la farei lunga. Del resto, quando abbiamo iniziato sapevamo le possibili appropriazioni indebite, gli ostacoli, i fraintendimenti voluti, eccetera.
Ma siamo lungimiranti e non certo perché il nostro obiettivo è… a lungo termine. Siamo lungimiranti oltre che infami di una infamia che è al tempo stesso la nostra lode.
A seconda dello sguardo, in ognuno di quei 5 e altri numeri c’è la nostra Infamia e la nostra Signoria. Non cediamo di un passo, pur rispettando il Diritto e pur continuando a credere nella possibilità di uno Stato di Diritto, che oggi può essere declinato, appunto, solo come possibilità.
Se siamo nell’ordine delle possibilità, dunque, molto è possibile.
È possibile anche essere infami perché non ci si vuole aggregare, perché non vogliamo sentirci definire “soggetto emergente” né “svantaggiato” né “sotto tutela”, né da destra né da sinistra.
Siamo infami perché diciamo che vogliamo la Democrazia Paritaria, ma non vogliamo la rappresentanza femminile e non vogliamo il sindacato delle donne.
Siamo infami perché consigliamo alle donne che fanno politica nei partiti di smetterla di spedire appelli, non fa alcuna differenza se spediti a grandi padri o a grandi fratelli.
Siamo infami quando si saccheggiano le nostre parole e si cancella la nostra politica ovunque, a destra e a sinistra, da poteri, politica, stampa, tv.
La carta stampata, informata di tutte le nostre iniziative, nei rari casi in cui ha deciso di fare qualche cenno – come nel caso de La Lettera scarlatta – lo ha fatto in un modo che, se pur legittimo, appare discutibile: ognuna è libera di pensare, a d esempio, alla lettera scarlatta come ad una catena di sant’antonio.
Personalmente non me ne intendo di catene in giro per il web.
Una cosa la so: una Campagna come quella del nostro 50E50 non avrebbe avuto vita senza internet, non avrebbe avuto spazio politico e simbolico, sul piano dell’informazione alla cittadinanza, al di fuori della rete, con rarissime eccezioni che confermano regole.
Certamente, ci aspetteremmo soprattutto da parte delle giornaliste dei grandi quotidiani qualche attenzione in più su ciò che accade nella politica delle donne, senza limitarsi, in occasione delle campagne elettorali, a dissertazioni superficiali che spaziano dai tacchi a spillo ai tetti di cristallo.
Penso infine che il giornalismo in Italia anche sul piano della Democrazia, abbia molto da pensare a partire da sé, senza infamia e senza lode, e senza distinzione di sesso.

Noi siamo infami eppure confidiamo nel futuro.
Sembrerà strano, ma è questa anche la nostra forma di speranza, perfino di ottimismo. In un tempo nel quale rischiamo ogni giorno di essere sommerse da omologazione e tristezze infinite, con un profilarsi di guai ad oltranza.
In fondo, è proprio così: siamo ottimiste perché siamo infami.

Milena Carone, 07 aprile 2008

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