Secondo una recente ricerca di Bruxelles, l’Europa è a un passo dal target di riduzione delle emissioni di gas serra: -20% entro il 2020. Ma il buon risultato di oggi (-17%) è soprattutto “merito” della crisi economica, che ferma la produzione. Le stime controverse e i numeri degli ultimi rapporti ufficiali.
26 maggio 2012 – L’Unione Europea ha reso pubblica una ricerca sui costi e sui target raggiunti dai 27 paesi membri per quanto riguarda la riduzione delle emissioni di gas serra. A quanto pare, l’Europa è a un passo dall’obiettivo posto per il 2020, che prevede di ridurre le emissioni al – 20% rispetto ai livelli del 1990 (oggi il livello raggiunto è – 17%). Nel paper, vengono riviste le stime e soprattutto i costi per aumentare il target di riduzione, portandolo a – 30% entro il 2020. Ma da molte parti si invita alla prudenza contro letture incomplete dei dati: va tenuto conto che, fino al 2007 (cioè poco prima che la crisi economica diventasse conclamata), le emissioni dovute all’industria energetica erano aumentate, pur con andamenti altalenanti. Segno di cattive politiche e inefficaci investimenti. Di conseguenza, i miglioramenti non sarebbero da attribuire all’impegno dei Paesi bensì alle riduzioni imposte dalla crisi.
Per quanto riguarda le emissioni di CO2, L’Europa si sta muovendo secondo le linee guida del “pacchetto clima ed energia”, approvato dalla Ue nel 2008. Il programma, noto come 20-20-20, ha fissato per tutti i paesi membri una serie di target da raggiungere entro il 2020, in vista del più ambizioso obiettivo ratificato dal protocollo di Kyoto per il 2050: l’abbattimento delle emissioni dell’80-95% e una quasi completa decarbonizzazione dell’energia. Le misure varate da Bruxelles si concentrano in tre macro-aree: riduzione dei gas serra, investimenti nelle energie rinnovabili e diminuzione/miglioramento dei consumi. Si tratta di ridurre le immissioni del 20% rispetto ai livelli del 1990, di fare sì che almeno il 20% del fabbisogno energetico provenga da fonti rinnovabili, di aumentare l’efficienza energetica del 20% rispetto ai livelli del 2005 e di ricavare da fonti rinnovabili il 10% del fabbisogno energetico di combustibili per il trasporto.
Lo studio di febbraio scorso ha messo in luce come gli obiettivi del 20-20-20 siano stati sottostimati e i costi sovrastimati. Il messaggio che Bruxelles vorrebbe far passare è che spendere oggi significa pagare meno domani, riducendo la dipendenza dalle fonti di energia fossile e dalle fluttuazioni dei loro prezzi e ottimizzando i consumi energetici. Le manovre correttive costerebbero meno di 33 miliardi di euro e offrirebbero nell’immediato possibilità d’impiego nel settore e riduzioni sulle bollette. La strategia potrebbe essere quella di suddividere i costi tra gli stati membri, riducendo l’eccesso di crediti di emissioni inquinanti (secondo l’Emission Trading Scheme, il sistema che fissa un tetto massimo al livello totale delle emissioni, ma consente ai partecipanti di acquistare e vendere quote secondo le loro necessità all’interno di tale limite) e puntando a ridurre maggiormente le emissioni non industriali.
Tutto bene? Non proprio. Le perplessità ci sono e riguardano diversi punti, a partire proprio dal calcolo delle emissioni. Come spiega il Guardian, le riduzioni delle emissioni sono calcolate nel luogo di produzione e non d’impiego, in questo modo il 7% circa di biossido di carbonio dell’Europa viene esternalizzato nei Paesi in via di sviluppo attraverso il commercio. Inoltre, l’Ue punta sulle biomasse per ridurre le emissioni, senza contare che proprio le biomasse potrebbero provenire da un uso insostenibile delle foreste in Europa e all’estero. Per quanto riguarda l’efficienza energetica, non ci sono provvedimenti vincolanti e considerato che – al momento – il risparmio energetico è al 9% (meno della metà dell’obiettivo dichiarato), è probabile che non si raggiunga il target. Infine, uno studio della stessa Ue indica che è improbabile ricavare il 10% del fabbisogno energetico per i trasporti da fonti rinnovabili. Insomma, ancora una volta gli scienziati addossano la responsabilità delle difficoltà alla “doppia contabilità” delle emissioni.
Alla fine di quest’anno, Bruxelles annuncerà i nuovi obiettivi intermedi di riduzione delle emissioni per il 2030 e forse per il 2040, così da fissare alcuni paletti. Senza dubbio il resto del mondo resterà a guardare.
E intanto, in Italia? A fine aprile il ministro dell’Ambiente Corrado Clini ha presentato al Major Econmies Forum (Mef) di Roma il piano nazionale per la riduzione delle emissioni entro il 2020, “incardinato negli obblighi europei e nella strategia Ue al 2050”. Fra le proposte, spiccano l’istituzione di un catalogo di tecnologie, sistemi e prodotti per decarbonizzare il sistema produttivo del Paese, con lo sviluppo di una filiera italiana; l’introduzione della carbon tax (che potrebbe andare anche a potenziare il Fondo per Kyoto fino a 250 milioni all’anno tra il 2013 e il 2020); l’incremento dell’efficienza energetica e delle rinnovabili, attraverso lo sviluppo di reti intelligenti per le “smart city”; l’estensione fino al 2020 del credito di imposta (55%) per l’efficienza energetica nell’edilizia e una migliore gestione del patrimonio forestale, da valorizzare come serbatoio di cattura dell’anidride carbonica e come fonte di produzione di biomassa e biocombustibili. In questo modo, le tappe precise di riduzione della CO2 sarebbero – 25% al 2020, -40% al 2030, – 60% al 2040 e – 80% al 2050.
Debora Volpi – 27 maggio 2012
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