Francesca Santucci

bellini 1 - L’INVERSO 
 VIAGGIO DI ELEONORA BELLINI
E. Bellini, “Il rumore dei treni”, Book editore, gennaio 2007

Il vero viaggio di scoperta non consiste nel trovare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi.
Marcel Proust

La vita è dolore, la attraversiamo, ci attraversa, e genera eventi che più di altri segnano, ma in chi ha la fortuna di essere stato baciato dalla Musa, da un luogo remoto dell’intimo, il dolore, finalmente, sgorgato, dapprima si manifesta in pianto interiore, sommesso, muto, poi si converte in consolatoria parola poetica:
Perché la poesia, non è vero, ha questo compito sublime di prendere tutto il dolore che ci spumeggia e ci romba nell’anima e di placarlo, di trasfigurarlo nella suprema calma dell’arte, così come sfociano i fiumi nella vastità celeste del mare. La poesia è una catarsi del dolore, come l’immensità della morte è una catarsi della vita. (Antonia Pozzi)
E così, superando la direzione unica del tempo reale, che procede soltanto in avanti, mai all’indietro, la memoria, il ricordo, travalicano il confine e riescono ad ondeggiare tra passato e presente, affascinando, con le infinite suggestioni offerte dal “gioco” del tempo interiore, il poeta, che non tralascia di alimentare il suo verso con ripetuti viaggi a ritroso, effettuati in solitudine (perché è così che si assaporano i frutti del dolore personale) ed in ripensamento, in ricerca del tempo trascorso, riguardandolo con occhi nuovi.
Ed è proprio quest’inverso viaggio che, in riconsiderazione di sé, Eleonora Bellini, poetessa garbata ma incisiva, leggiadra e raffinata (con all’attivo già altre pubblicazioni, sia in poesia, sia in prosa), rievocando situazioni e momenti del vissuto personale, compie in questa nuova preziosa raccolta: “Il rumore dei treni”.
Persone, luoghi, paesaggi, situazioni, accadimenti esterni, ombre vivide del passato s’allungano ad illuminare il suo transito poetico, e tutto Eleonora accoglie, tessere di mosaico che osserva, valuta, cercando d’incasellarle bene, ciascuna al giusto posto che compete, quasi in bisogno spasmodico di riordinarle: ricomporlo significherà mettere ordine nella propria vita, anche prendendo idealmente congedo dagli eventi più traumatici.
La raccolta si snoda, come le stagioni, attraverso quattro momenti e, similmente, pare scandire i passaggi fondamentali della sua vita: “Tessere per un mosaico”, “Love in progress”, “Via Ernesto Breda”, “Passato Presente”.
La ricognizione suggerisce l’efficace metafora della vita come viaggio, che muove dalla stazione, là dove ogni istante è partenza, /ogni istante ti appressa la morte (“Grigio”), dove, nel frastuono confuso di voci e suoni, nei tramestii di persone e cose, fra arrivi e partenze, il treno (rumoroso come il ricordo gravoso che opprime e pesa come un macigno, dal quale bisogna liberarsi, per poter più agevolmente riprendere il cammino) allontana, separa, ma, poi, pure riavvicina, riconduce: stazione come luogo di gioia, quando si parte per una lieta vacanza, magari nella spensierata giovanile età; come luogo di dolore, quando sancisce un definitivo addio; come luogo di speranza, quando assiste ad uno speranzoso arrivederci; comunque luogo di affanni.
E l’autrice, proprio come in un affollata stazione, spettatrice ed attrice di questa lungo, travagliato, talvolta pure incomprensibile, viaggio che è stata la sua vita sin qui vissuta, rievoca gli avvenimenti più significativi, scavando, frugando, cercando dolorosamente ovunque nel tempo passato relitti superstiti, tracce di se stessa, o ciò che permane, raccogliendo, paziente, i frammenti, incasellandoli (ma qualcuno pure sfugge, e sono frammenti dispersi: Per chiarirti, pensa/ che perfino a una farfalla/ d’eternità risplende/ il breve suo giorno di vita. Io il mio/ rammendo, / e chiudo le sue falle, e vi incastono/ come in prezioso manto i tuoi frammenti, “Frammento disperso I”), per ricomporre il mosaico personale, rivivendo le aspettative, le illusioni, gli incanti, la gioia delle presenze, ma anche i tristi disincanti e la malinconia delle assenze (… So solo che ho rivisto/ tutti i miei passi sulla stessa via, / una bimba che arranca dietro al padre, / e poi una ragazza a cui sorride/ il tramonto viola e rosso, ne infiamma/ il cuore e le speranze e la certezza/ che fanno bello il mondo i bei pensieri, “Appunti per una poesia di Natale”).
In questo tempo di riflessione, sostare e riconsiderare, ripercorrendo, appunto, l’inverso viaggio, è anche un modo per congedarsi dagli affetti più importanti irrimediabilmente perduti; testimoniano ciò i componimenti in mortem, tratteggiati con dolcezza e levità, in contenuta, ma ben palpabile, commozione, dedicati alla nonna (Veletta/ e cappellino sopra il capo, /ma nessun velo/ sul libero pensiero, “Eau de parfum”; alla madre (Lunedì di un anno ormai lontano./ Tu ed io sole./ Io, un grumo formatosi da nulla, / dal germinale caso occasionato, “Madre e figlia”); al padre (Per questo ti ho voluto bene, padre/ per il tuo caparbio vivere ogni istante/ come l’ultimo prima del commiato, “Addio al padre”).
Congedatasi, così, dal passato (riguardato con occhi nuovi, in malinconica consapevolezza dell’ineluttabile ed incomprensibile giogo del destino, al quale tutti sono assoggettati, costretti nel misterioso cerchio di nascita e morte), consegnato il ricordo alla parola poetica, il tempo andato, ora cristallizzato, come un delicato acquarello trascolora, ma, eternate, restano vivide, come colorati giochi di un caleidoscopio, le emozioni generate dall’autentica sensibilità dell’autrice.

Da TESSERE PER UN MOSAICO

Frammento disperso I
(oro)

La lontananza non è certo nozione
univoca né dotata di propria
consistenza. Ma capita
che improvvida memoria ti s’incagli
          dentro un anfratto oscuro della mente,
e che affondi e poi riemerga, e che galleggi,
resistendo a dispetto d’ogni scienza.
Per chiarirti, pensa
che perfino a una farfalla
          d’eternità risplende
il breve suo giorno di vita. Io il mio
                                rammendo,
e chiudo le sue falle, e vi incastono
come in prezioso manto i tuoi frammenti.
Fingo che siano oro
          e raggio e tuono, al tocco delle dita.

Da LOVE IN PROGRESS

Tracce

Se fossi un cane o una talpa con l’olfatto
potrei scoprire tutte le sue tracce
nella casa ormai vuota e smemorata.

E là dove si è colmato
il cavo del suo capo sul cuscino,
là dove si è sciolta
l’orma dei suoi passi sulla neve,
là dove ciondola
vuota la gruccia dei suoi panni
ritroverei tutto di lui, intatto
ed incorrotto tra mutanti cose.

Ma non ho il fiuto del cane
né la bussola sicura della talpa,
cosi per ritrovare le sue tracce
io mi aggrappo a un foglio
sfuggito per caso alla sua tasca,
ai braccioli della sedia che ha sfiorato,
allo spiraglio di luce incastonato
tra la porta e la strada, dove è uscito.

Da VIA ERNESTO BREDA

Lontano dal centro, nel limbo
dove si perdono i propositi e le storie,
nel sempiterno essere
numero, nebbia, gente
di periferia, nel dolce anonimato
                          io mi sperdo.
E mi ritrovo
                   Perché è solo mio
questo girovagare eccentrico fuori
dai covili dell’uomo e fuori
                    dai confini di dio.

Da PASSATO E PRESENTE

Il rumore dei treni

Quando sarò grande
partirò anch’io col treno della notte,
guarderò scorrere le case illuminate,
inventerò le storie di chi va
e di chi resta. Il campanello
m’interrompe il gioco;
arriva il treno da Milano, sosta poco,

poi salirà verso il Sempione.
Il rumore del treno entra nel sonno.

Via Sammartini, guardo la finestra
della stanza dove mio padre lavorava.
Lì s’intrecciavano fili, scoccavano scintille,
i telefoni squillavano e lanciavano richiami
che a me parevano più intricati e fìtti
della rete di convogli e di rotaie
sui quali oggi ancora nella mente viaggio.
il rumore dei treni è la mia casa.

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