Due voci fuori dal coro
La vicenda di due giganti del giornalismo italiano che hanno caratterizzato un’epoca, assumendosi ciascuno le proprie responsabilità senza mai venire a patti con il potere
Sgombriamo subito il campo da ogni equivoco: analizzare due figure della statura di Giovanni Guareschi e Indro Montanelli comporta una buona dose di incoscienza oltre che di rischio. La prima, perché di personalità siffatte, refrattarie al conformismo, non ne esistono quasi più; la seconda, in quanto scrivere di uomini “di destra”, difficilmente assimilabili alle svariate declinazioni di tale parte politica, può sembrare dettato, in un presente che erige sempre più steccati ideologici, da eccesso di spirito velleitario, seppur da sempre ci siano state molte “destre” e moltissime “estreme destre”. I componenti di questi schieramenti non si sono mai amati del tutto e hanno collaborato solo episodicamente; non ha fatto eccezione neppure il rapporto tra i soggetti di cui sopra, descritto magistralmente da Stefano Poma nel suo “Rapaci e denigratori, l’ironica discordia tra Indro Montanelli e Giovani Guareschi nell’Italia del dopoguerra”.
Il libro di Poma ripercorre infatti, tra collaborazioni, articoli più o meno polemici e lettere, l’autentico legame, all’insegna dell’affetto reciproco di fondo (seppur tra alti e bassi) venutosi a creare fra i due dalla fine del secondo conflitto mondiale sino alla morte di Guareschi, avvenuta il 22 luglio 1968. Due voci fuori dal coro, sempre e comunque. Solo recentemente i critici letterari hanno rivalutato l’opera di Guareschi, tradotta in centinaia di lingue, ma snobbata dall’intellighenzia di sinistra, quando non addirittura messa all’indice dai lapidari giudizi di Togliatti (“Tre volte cretino”) o dall’epicedio de L’Unità (“È morto lo scrittore che non era mai nato”). Tutto ciò rivela come in Italia, la satira, sia stata considerata di destra e la quasi totalità del sussiegoso mondo della cultura, legato a doppia mandata alla politica, abbia guardato con sospetto chi, come Guareschi, faceva ridere, evidenziando vizi, costumi e servilismi attraverso una demistificazione che non aveva eguali.
Dalla comune militanza nel «Candido», al successivo passaggio di Montanelli al «Borghese» dell’amico Leo Longanesi, Poma ricorda il burrascoso, ma ininterrotto rapporto tra i due, continuato nei 409 giorni di carcerazione, a cavallo tra il ’54 e il ’55, che Guareschi (unico giornalista nella storia repubblicana) dovette subire a seguito di una condanna per diffamazione nei confronti di De Gasperi, dopo aver pubblicato due lettere in cui il leader democristiano risultava chiedere agli alleati il bombardamento di alcuni punti nevralgici di Roma “per infrangere l’ultima resistenza morale del popolo romano” nei confronti di fascisti e tedeschi. Un saggio davvero interessante, insomma, questo di Stefano Poma, capace come pochi di ricostruire, attraverso testimonianze precise e puntuali, la vicenda di due giganti del giornalismo italiano che hanno caratterizzato un’epoca, assumendosi ciascuno le proprie responsabilità senza mai venire a patti con il potere, in modo da far dire a Montanelli: “L’unico consiglio che mi sento di dare -e che regolarmente do- ai giovani è questo: combattete per quello in cui credete. Perderete, come le ho perse io, tutte le battaglie. Ma solo una potrete vincerne. Quella che s’ingaggia ogni mattina, davanti allo specchio”.
Andrea Santoro
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