Negli ultimi 2 anni l’Islanda, scrive The Guardian, ha guidato la classifica del World Economic Forum sull’eguaglianza di genere e recentemente Newsweek, dopo aver preso in considerazione i parametri di salute, istruzione, economia, politica e giustizia, l’ha giudicata il paese migliore per le donne. La premier Johanna Siguroardottir ha commentato con orgoglio i risultati della ricerca “perché la parità dei sessi è uno dei più attendibili indicatori della qualità della vita di un paese”. La chiave di questo successo sono i servizi sociali efficienti, un movimento femminista agguerrito e una società aperta e tollerante. In questo scenario paradisiaco permane però un’ombra, denuncia la ministra dell’Industria Katrin Juliusdottir,di 30 anni: “le differenze salariali tra uomini e donne”. All’uscita dalla Seconda Guerra Mondiale l’Islanda era il paese più povero d’Europa poi, dopo il boom economico degli anni ’60, una nuova generazione di donne istruite cominciò a denunciare la discriminazione salariale di genere e così nel 1975 il gruppo femminista “Calze Rosse” il 24 ottobre indisse uno sciopero di 24 ore delle donne che in 5 mila (allora l’intera popolazione islandese raggiungeva a stento 220mila abitanti) incrociarono le braccia a casa e sul lavoro e si riunirono nella capitale Reykjavik per discutere, confrontarsi e stare insieme. Nell’isola la capacità del movimento femminista di mobilitare le donne di ogni appartenenza politica e sociale è ancora molto evidente. Oggi ad esempio, è fortemente impegnato anche nell’assistenza alla vittime di violenza sessuale perché precisa la leader”sulla carta l’Islanda è il paradiso delle donne ma nella pratica le condanne penali per stupro si contano sulle dita di una mano”. Ma il principale impegno riguarda la lotta alla disparità salariale e la rivendicazione è così forte che nessun leader politico può permettersi di ignorarla. E’ un fatto che l’Islanda ha una lunga storia di donne in politica e nel 2013 entrerà in vigore la legge che obbligherà le imprese ad avere consigli di amministrazione con almeno il 40% di donne. Nel 1983 è nata l’Alleanza delle donne, un partito femminista che 4 anni dopo conquisto 6 seggi su 63 e nel 1994 impose Solrun Gisladottir come sindaco di Reykjavik . Nel 2009, dopo la terribile crisi finanziaria, il paese si è affidato alle donne per far ripartire il paese: ne ha messo due al vertice delle banche responsabili del crac e nominato premier Johanna Siguroardottir prima leader al mondo dichiaratamente omosessuale. Ma già nel 1980, una ragazza madre, Vigdis Finnbogadottir, fu la prima donna al mondo ad essere eletta Presidente, carica che ha ricoperto fino al 1996. In Islanda è soprattutto importante la rete di sostegno alle donne e alla famiglia : un figlio è considerato un dono e nessuno si preoccupa di quanti figli una donna potrà riuscire a mantenere. Una madre single può mandare un bambino all’asilo per otto ore al giorno al costo di 80 euro al mese e per le coppie la spesa è di 135 euro. Si dice che le donne islandesi abbiano una grande fiducia in se stesse. La loro indipendenza si è sviluppata nel corso dei secoli, quando gli uomini erano in mare e a loro toccava di occuparsi di tutto il resto. Se si domanda quale sia l’aspetto migliore della vita nel loro paese la risposta più frequente è “la libertà”. “Il nostro premier è una donna – dicono- il nostro presidente era una donna. Qui siamo cresciute con la consapevolezza che tutto è possibile. Abbiamo sempre saputo di avere questa libertà, di poter fare delle scelte senza doverne rendere conto a nessuno. Si può dire che siamo una nazione molto progressista”. (Ornella Del Guasto, luglio 2012)

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