Quando la memoria torna ad essere il battito pulsante della ricerca del vero, gli antichi drammi della storia umana sono sdoganati alla consapevolezza che i vissuti dolorosi devono diventare lo strumento fondamentale della lotta al crimine.
Le migliaia di vittime “marocchinate” nel maggio del 1944, dalla furia dei goumiers del generale Juin, non sono lontane dalle vittime tedesche violentate da parte dei russi alla fine della Seconda guerra mondiale e non lo sono neppure dalle 20.000 o 30.000 o forse 80.000 violentate dai giapponesi nel 1938 a Nanchino, nella Repubblica di Cina. “Lo stupro di Nanchino”, come fu definito dalla scrittrice Iris Chang, è un altro olocausto dimenticato. Ma la memoria grida anche il dolore delle 500.000 donne del Rwanda, violentate nel corso del genocidio del 1994, e delle 60.000 tra Croazia e Boznia. Nel Congo orientale, durante la guerra civile, tre quarti delle donne sono state violate in alcune aree. A questi fatti andrebbero aggiunte le violenze per stupro in Liberia, nel Darfur, in Sud America e in Birmania. Sono certa di averne dimenticate molte altre.
Un elenco impressionante che l’era moderna veste di un abito bellico la cui sostanza resta quella antica, brutale e comune all’uomo di sempre il quale, attraverso gli istinti più bassi, continua ad esprimere una malvagità che solo un patriarcato istituzionale inaccettabile può legittimare.
“In guerra oggi è più pericoloso essere donna che soldato”. A pronunciare queste parole è il generale Patrick Cammaert, ex capo delle forze di peacekeeping dell’ONU, intendendo così lo stupro come strumento militarmente efficace, una sorta di arma bellica in grado di determinare l’esito di tanti conflitti.
Se il Consiglio di Sicurezza dell’ONU (risoluzione n.1820) ha stabilito (con ritardo, ma meglio tardi che mai) che la violenza carnale contro le donne è un crimine contro l’umanità, in quanto da considerarsi “ una tattica di guerra per umiliare, dominare, instillare paura, disperdere o dislocare a forza membri civili di una comunità o di un gruppo etnico”, di tutt’altro avviso sono le associazioni internazionali dei diritti umani contro il paradigma deterministico che l’ideologia eterosessista rappresenta. La violenza sessuale, ribadiscono, è la conseguenza di una insana relazione tra i generi e violento sarà da considerare tutto ciò (leggi, singole norme, dichiarazioni e proposte) che attraverso una politica antidiscriminatoria risulta essere sostanzialmente inefficace.
Ritornando alla “risoluzione ONU” non va dimenticato che al segretario generale dell’ONU, Mr Bann Ki-moon, è stato chiesto di presentare uno speciale rapporto entro il 30 giugno 2009 e di rafforzare i controlli sui caschi blu dell’ONU che in passato si sono anch’essi macchiati di questo crimine in varie regioni del mondo.
Sono passate alcune generazioni da quando la Ciociaria ha pagato duramente il prezzo dei “liberatori”. Le cifre non furono mai precise ma quel “diritto di preda”, che ha violato tante donne e bambini e anche uomini, oltre alla povertà ed all’emarginazione del tempo lascia al futuro il frutto prelibato dell’albero del diritto alla vita attraverso il rigore della memoria che riconcilia e si fa portatrice di una nuova consapevolezza. Vergogna, reticenza e silenzio saranno solo un brutto sogno allorchè verranno sovrastati dalla protesta globale contro il più dilagante ed ignobile crimine resistito alla storia umana: lo stupro, in casa, fuori casa e in guerra.

Anna Rossi
Responsabile Relazioni Esterne O.N.E.R.P.O.
Osservatorio Nazionale ed Europeo per le Pari Opportunità

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