di Cristiana Bullita

weber - L’OBIETTIVITA’ 
 E LA SPIEGAZIONE CAUSALE NELLE SCIENZE STORICO-SOCIALI
Max Weber

Per Max Weber, le discipline storico-sociali, in quanto scienze, hanno il compito specifico di descrivere la realtà astraendo da qualunque considerazione di carattere assiologico. Esse sono interessate a ciò che è e non a ciò che deve essere. Dell’oggetto indagato, selezionato in base a uno specifico interesse del ricercatore, non ci si può chiedere se “possa sembrare soddisfacente o insoddisfacente”, “riprovevole oppure degno di approvazione”. E nonostante una relazione a valori non universali ma storicamente, socialmente e individualmente relativi sia necessaria per individuare ciò che, nel caos privo di senso di quello che accade nel mondo, meriti di essere considerato, i risultati delle scienze storico-sociali sono oggettivamente validi, anche perché costruiti sulla base di fonti – manufatti, tracce, testimonianze, documenti, resti – impiegate secondo le regole di un metodo riconosciuto e convalidato. Epperò il punto di vista di qualunque studioso è sempre, inevitabilmente, relativo e parziale e ogni interpretazione storiografica muove da uno specifico punto di vista. I fatti storici possono essere esaminati da prospettive diverse, e quasi sempre ha prevalso quella dei dominatori, dei colonizzatori, insomma dei vincitori. Tuttavia, se la soggettività dello storico è ineliminabile e, in qualche modo, necessaria, l’oggettività immanente della storia è incontestabile, sostiene Paul Ricoeur.

Se “il fatto è sempre stupido”, come afferma Nietzsche nelle Considerazioni inattuali, è perché l’informazione fattuale in sé non serve a molto, se non viene decodificata dallo studioso. Il quale, nell’affrontare i nodi interpretativi posti dal “fatto”, pur scansando suggestioni storicistiche, non può prescindere dalla consapevolezza che la verità è figlia del tempo, e che quindi ciò che una volta appariva giusto e razionale adesso può sembrare irrazionale e sbagliato. Perciò, allo storico non interessa giudicare quel fatto col senno dell’oggi ma capire perché allora le cose andarono proprio così e non in un altro modo.
Weber parla di imputazione causale per riferirsi alle conseguenze che lo storico può ‘imputare’ ad avvenimenti causalmente significativi. Egli giunge a tale imputazione attraverso giudizi di possibilità oggettiva: in concreto, immagina di sottrarre al corso degli eventi alcuni fattori che si ritengono causalmente rilevanti e valuta le ipotetiche conseguenze. Ad esempio, che cosa sarebbe accaduto se a Poitiers, nel 732, Carlo Martello, che guidava l’esercito dei Franchi, non avesse sconfitto gli Arabi? L’Occidente cristiano ha davvero fermato lì l’espansione islamica, ‘salvando’ così il resto dell’Europa? Per rispondere a queste domande è necessario ipotizzare una vittoria di ‘Abd ar-Rahmā´n al-Ghā´fiqī, che capitanò l’incursione musulmana in Francia. Se in tal modo si possono immaginare conseguenze significativamente diverse da quelle reali (ad esempio, che i musulmani si sarebbero riversati in Europa convertendola all’Islam), allora si può affermare che l’importanza causale della vittoria dei Franchi a Poitiers fu essenziale al mantenimento di un’Europa non islamizzata; si parla, in tal caso, di causazione adeguata.
Pur mantenendo intatta la stima per Weber, non possiamo qui ignorare il vibrante quanto acronico disaccordo di Alessandro Cutolo: “con i se non si fa mai la storia, e nessuno può dire con serietà quello che sarebbe avvenuto ove la storia non avesse camminato come effettivamente ha camminato”.
Più sintetico ma ugualmente efficace Renzo De Felice: “Gli storici non dovrebbero mai usare la particella ‘se’”; eppure egli ritenne indispensabile l’utilizzo di periodi ipotetici nella formulazione di giudizi “scientifici” sul duce del fascismo.

Categorizzato in:

Taggato in: