È consentito a un non esperto avvicinarsi ai classici greci e latini? Si può leggere una grande opera classica senza avvalersi dell’armamentario concettuale e culturale dei letterati, dei latinisti, dei grecisti, dei filologi, e goderla lo stesso? È tracotanza, è velleità, o significa semplicemente considerare i classici come universali, cioè di tutti e per tutti? Le domande, è ovvio, sono retoriche. Quanto sto per scrivere non è un giudizio critico sul De otio di Seneca, non ne ho gli strumenti e neppure l’intenzione. Mentre mi rigiro tra le mani questa brevissima opera, mi propongo invece di offrirla alla fruibilità di chi, come me, non è un addetto ai lavori.
Seneca scrisse il De Otio probabilmente nel 62, dopo essersi rifugiato con Paolina, la seconda moglie, e Lucilio, un amico, in una villa in Campania, a seguito di un tentativo di avvelenamento subito da parte di Nerone, e dopo aver offerto all’imperatore tutti i suoi beni. È dedicato all’amico Sereno, è diviso in 8 capitoli e ci è giunto mutilo delle sue parti iniziale e finale.
I Romani distinguevano l’otium dal negotium. Il primo si riferiva allo studio, agli svaghi e alla vita contemplativa, il secondo (nec otium, non ozio) alle attività lavorative abituali al servizio della comunità. Per Seneca l’ozio era soprattutto contemplatio, contemplazione. Egli raccomanda una vita appartata, lontana dalle pubbliche faccende, pur difendendosi dall’accusa di rinnegare l’invito dei compagni stoici a dedicarsi ad attività pubbliche e politiche. Lo fa ricorrendo a un distinguo quasi sofistico: esistono due tipi di Stato, il mondo intero e quello più ridotto in cui siamo nati. Ci si può occupare di entrambi gli Stati o anche di uno solo dei due. Ebbene, chi si dedica al mondo intero lo fa ritirandosi a vita privata e coltivando la conoscenza e la virtù, che sono utili a tutti. Zenone e Crisippo, meditando, si sono fatti guida per tutto il mondo, anche se non hanno ricoperto cariche pubbliche. La nostra natura mescola azione e contemplazione, che vanno assecondate e conciliate. La contemplazione contempla tutte le azioni, nel senso che le osserva e le contiene. Contemplare il tutto significa neutralizzare gli opposti: ozio e negozio, piacere e virtù, gioia e sofferenza, bene e male… Contemplazione, azione e piacere non sono termini tra loro antitetici: il piacere ha a che fare sia con la contemplazione che con l’azione, e queste ultime hanno tra loro un rapporto di reciproca dipendenza.
Molto interessante è, nel I capitolo, l’osservazione che «dipendiamo sempre dalle opinioni degli altri (pendemus enim toti ex alienis iudiciis)», ci sembra migliore ciò che viene desiderato ed elogiato da un gran numero di persone e non ciò che detiene un valore in sé. Come non pensare alla dipendenza da like social di molti di noi? …
Il saggio non si spenderà per delle cause perse, precisa Seneca nel III capitolo: «se lo Stato è talmente corrotto da non esservi aiuto capace di sanarlo, è inutile che il saggio sacrifichi le proprie forze (non nitetur sapiens in supervacuum nec se nihil profuturus impendet)». Inoltre, si chiede il filosofo nell’VIII capitolo, «con quale tipo di Stato il saggio potrebbe collaborare? (Interrogo ad quam rem publicam sapiens sit accessurus)». Con nessuno, è la sua risposta. Dunque s’impone la necessità di praticare la vita contemplativa astenendosi dalla politica.
Contemplare il tutto significa anche abbandonarsi alle bellezze della natura. Emerge nel testo il tipico antropocentrismo stoico. Quale utilità, quale scopo avrebbe avuto l’opera della natura «se cose tanto grandi e meravigliose, così accuratamente rifinite, così eleganti e splendide di mille e più bellezze le avesse sciorinate davanti a un deserto? (Si tam magna, tam clara, tam subtiliter ducta, tam nitida et non uno genere formosa solitudini ostenderet)». Tutto ciò che esiste è in funzione dell’uomo e dei suoi bisogni, anche estetici e spirituali.
Vorrei irrorare questo succinto excursus del dialogo con una goccia di poesia. Nel V capitolo, Seneca si domanda «se sia vero che nell’uomo c’è uno spirito divino, e ciò in virtù del fatto che sulla terra sarebbero cadute dal cielo delle schegge, come scintille di stelle (veluti scintillas quasdam astrorum), posatesi qui, in una sede non propria».
Polvere siamo d’una grande stella/ per questo gli occhi brillano di luce/ e bucano il silenzio del sonno e dell’oblio.
Queste le parole di un poeta sconosciuto del secolo scorso, a me tanto caro.
Un classico è come un vestito comodo: senza timore reverenziale possiamo afferrarlo e mettercelo addosso, possiamo indossarlo adattandolo alle nostre forme con cinture, spille, con semplici riprese sartoriali. Ciascuno di noi può leggere un classico e interpretarlo alla luce delle proprie esperienze di vita, delle proprie conoscenze, della propria sensibilità, e rinvenirvi allusioni, richiami, suggestioni… Proprio in questa adattabilità al lettore – a qualunque lettore – risiede, a mio parere, la grandezza di un’opera. E questa, nelle sue poche pagine, è una grande opera.
Cristiana Bullita
“Ciascuno di noi può leggere un classico” , è il consiglio in coda all’aricolo. Lo so per esperienza, io che ho iniziato a leggere i classici tardi, quando non trovavo testi moderni abbastanza interessanti da coivolgermi nella lettura. Il classico, ha ragione la scrittrice, è come un investimento sulla cultura. Un oggetto prezioso che si può conoscere a piccole dosi, meditare, riporlo e poi riprenderlo per continuare ad approfondire. Grazie.
Abbiamo bisogno di classici, abbiamo bisogno di cultura, più che di pane. Per risollevarci dai livelli bassi di cultura , anzi di livelli eccessivamente alti di ignoranza. Rileggere i grandi autori di filosofia e di letteratura fa bene alla mente, al cuore, all’umore.
Ho letto di Seneca personaggio di interessante pregnanza politica, e di Seneca padre e fratello che, molto legato alla famiglia, ne rese agile l’inserimento nella vita sociale. Questa lettura, divenuta maggiormente fruibile dalla recensione di Cristiana Bullita, aumenta la simpatia per il filosofo e la comprensione dei suoi obiettivi esistenziali.
Seneca offre utilissimi spunti di riflessione e questo articolo lo mostra perfettamente. Cristiana Bullita evidenzia la grande modernità del pensiero senecano e,dopo duemila anni, supporta il suo voler “iuvare alios”.
Grazie.