C’e’ qualcosa di strano nella piega che stanno prendendo gli “avvenimenti mediatici e giudiziari” attorno alla vicenda Parmalat. Non mi riferisco, ovviamente, alla pubblicazione dei verbali di Tanzi su “Libero” ove tutto – piaccia o non piaccia – sta avvenendo alla luce del sole. Mi riferisco invece a due altri specifici avvenimenti, che suonano quasi come preoccupanti “campanelli d’allarme” per l’accertamento della verita’ (a prescindere dalla volonta’ dei protagonisti) e cioe’:
1. l’innaturale “assenza” di provvedimenti giudiziari “urgenti e conseguenti” (come si dice in gergo) in merito alle tante “chiamate in correita’” effettuate da Tanzi (e dai suoi complici) nei confronti di alcuni qualificati politici e giornalisti accusati di aver ricevuto denaro e favori dal patron della Parmalat;
2. il tentativo, da parte di alcuni qualificati organi di informazione, di “spostare l’attenzione” dei lettori verso complesse e rocambolesche ricostruzioni diverse da quelle risultanti in atti;
Queste due circostanze, miscellate insieme fra loro, potrebbero – se non corrette in tempo – instillare nell’opinione pubblica una visione dei fatti distorta, edulcorata, minimalista rispetto alle gravi corresponsabilta’ che pure gravitano attorno alla vicenda. E’ ovvio che, se cio’ dovesse accadere, si allontanerebbe sempre piu’ il “tempo della verita” in quanto – nel frattempo – se ne sara’ creata un’altra, piu’ di comodo per la “nomenclatura politica e giornalistica” coinvolta. L’ultimo segnale di allarme in tal senso e’ la ricostruzione adombrata domenica scorsa dal quotidiano “La Repubblica” circa le ragioni che avrebbero portato Tanzi ad una immeritata ascesa imprenditoriale e sociale: i suoi rapporti ambigui con la Massoneria e l’Opus Dei, il tutto condito da capitali affluiti nelle casse aziendali in modo “oscuro e non chiarissimo” (di fatto adombrando un’ipotesi di riciclaggio di denaro sporco). Le argomentazioni avanzate dai bravi giornalisti di Repubblica hanno indubbiamente un fondo di verita’ ed e’ plausibile (ed anche probabile) che attorno all’ascesa di Tanzi si siano mossi personaggi poco raccomandabili, poteri occulti e massonerie varie. Non si capisce, pero’, perche’ quel quotidiano insista ad amplificare (con titoloni da prima pagina) connivenze datate nel tempo (fine anni ’80) e rapporti personali con personaggi opachi di cui si e’ oramai scritto tutto e il contrario di tutto (ad esempio Florio Fiorini) e persista nell’ignorare l’attualita’ dei rapporti economici intervenuti nel frattempo fra lo stesso Tanzi e primari politici e giornalisti italiani tutt’ora saldamente in sella.
Insomma c’e’ il sospetto che si stia facendo strada una “seconda verita” che, piano piano, potrebbe andare a sovrapporsi alla prima, appannandola, affumicandola, relegandola nel dimenticatoio ed alla fine spegnendola (sia come notizia giornalistica che come “concausa scatenante” dell’ascesa e del declino del gruppo Parmalat). Eppure la “prima verita’” e’ “la pista” piu’ lineare dal punto di vista processuale e documentale. Per comprendere le ragioni del successo di Tanzi, non c’e’ bisogno di ricorrere a sigle di potentati come la massoneria e l’Opus Dei (che di per se’ vogliono dire “tutto e nulla” giacche’ in quelle organizzazioni ci possono essere e ci sono pure tante brave persone). Egli ed i suoi sodali hanno potuto “fare e disfare” la contabilita’ delle casse aziendali a proprio piacimento perche’ avevano “comprato” con contributi e finanziamenti vari sia l’accesso privilegiato al credito (grazie a banche e banchieri conniventi) che la “sponsorizzazione politica e mediatica”. Insomma era la politica a governare il credito e non viceversa, tanto e’ vero che a quei tempi il sistema bancario nominava i suoi manager con il “bilancino” della lottizzazione politica. Cosi’, ad esempio il Monte dei Paschi di Siena – che nel 1989 aveva finanziato la Parmalat con un prestito di 120 miliardi di lire – aveva il proprio board composto da otto membri (tre della DC, due del PCI, due del PSI ed uno alternativamente del PSDI e del PRI) mentre il Provveditore era nominato dal Ministro del Tesoro. E’ piu’ verosimile quindi che Tanzi, per invogliare gli istituti di credito a concedergli prestiti vantasse la benevolenza dei politici che aveva foraggiato piuttosto che avere bisogno di ricorrere ad oscure mediazioni massoniche.
I finanziamenti e le elargizioni ai politici ed ai giornalisti, pero’, di converso – proprio perche’ numerosi, spesso spropositati e sparsi a pioggia fra esponenti di quasi tutti i partiti – hanno a loro volta contribuito ad aumentare il dissesto economico della Parmalat (oltre che illudere i piccoli risparmiatori sulla solvibilita’ dell’azienda). Da qui scaturisce (o meglio dovrebbe scaturire come normalmente avviene in un paese normale) la conseguenza che a risarcire le parti offese ed i danneggiati (creditori, risparmiatori e dipendenti) siano non solo i legali rappresentanti della Parmalat ed i loro complici ma anche coloro che hanno usufruito nel tempo di indebite elargizioni e finanziamenti. Quindi c’e’ necessita’ e dovere di svolgere le indagini conseguenti alle dichiarazioni rese da Tanzi anche laddove queste coinvolgano i signori della politica. Non basta dire “non c’e’ reato”, come finora troppo sbrigativamente si e’ sentito dire. Per accertare come stanno in realtà le cose bisogna prima svolgere le indagini e poi arrivare alle conclusioni e non viceversa. Non dimentichiamoci peraltro che – essendo stata dichiarata l’insolvenza di Tanzi – potrebbe scaturire per coloro che hanno ricevuto il denaro anche l’ipotesi di concorso in bancarotta fraudolenta (sulla falsariga di quanto accaduto per il crack del Banco Ambrosiano e i contributi di Calvi a Craxi sul famoso Conto Protezione).
Queste indagini, pero’, per definizione devono essere fatte in fretta e mi auguro che gia’ siano state effettuate altrimenti si rischia di arrivare troppo tardi quando oramai i vari protagonisti si saranno ben addestrati a predisporre e riferire “versioni di comodo” al fine di annacquare le prove a loro carico.
Ed allora cosa fare prima che anche questa vicenda (come quella di Mani Pulite) cada nell’oblio delle ricostruzioni giornalistiche fantasiose e minimaliste? C’e’ bisogno di fissare alcuni punti fermi (all’insegna del motto “carta canta!”) che, pero’, solo un’accurata e doviziosa inchiesta giudiziaria puo’ stabilire. Ecco perche’, a mio avviso, non si puo’ piu’ stare solo ad aspettare che qualcosa si muova sul fronte delle indagini. Tra i compiti di un giornale di inchiesta (e purtroppo finora solo “Libero” si sta comportando in tal modo) c’e’ anche quello di “ricercare” la notizia e di accertare se, come e dove i fatti si siano verificati (il caso Watergate insegna). Tra i compiti di un cittadino impegnato (ed io mi sento di esserlo, come milioni di altri peraltro) c’e’ quello di investire la “magistratura competente” delle notizie di reato emerse o emergenti dagli accertamenti giornalistici in questione.
Insomma credo sia giunto il momento di “spezzettare” le tante “notizie di reato” emerse o emergenti dalle ricostruzioni giornalistiche e tramutarle in altrettante denuncie ed esposti alle varie magistrature territorialmente competenti. Tanzi, per definizione (e per sue affermazioni), non ha pagato sempre allo stesso posto e, come si sa, l’Autorita’ Giudiziaria competente a svolgere le indagini e’ quella dove il reato si e’ consumato (ovvero dove i soldi sono stati promessi o consegnati).
Ogni cittadino, quindi – ed e’ questo il senso della mia proposta – ritagli gli articoli di giornale che descrivono versamenti di denaro a questo o quel personaggio pubblico e invii una segnalazione di notizia di reato alla magistratura competente per territorio (di volta in volta Parma, Milano ma soprattutto Roma). Io lo faro’. Anzi lo sto gia’ facendo. La ragione di tutto cio’ e’ evidente: smuovere “lo stallo” in cui si stanno arenando le indagini e togliere la “cappa del silenzio e della disinformazione” attorno al “caso del secolo”. Non per morbosa curiosita’ ma per il dovere civico di evitare che un domani possa ancora accadere.
Antonio Di Pietro – Presidente Italia dei Valori
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