Quella del tredici dicembre è una festa carica di suggestioni. Nella mia mente, quando ripercorro le memorie d’infanzia, essa evoca l’immagine di una fanciulla con una corona di candeline che il nostro parroco, Mons. Gino Gori, ci faceva incontrare nel chiostro cinquecentesco della collegiata di San Nicolò. A questa immagine si associa quella più tradizionale della fanciulla martire che andavo a contemplare durante le rigide e nebbiose serate d’inverno nella Cattedrale. Anche là c’erano candele luminose e una folla di fedeli che rispettava questo annuale appuntamento con la spiritualità. Il contrasto fra il freddo, la nebbia e l’intimità calorosa che si creava davanti a quel piccolo altare m’illumina ancora.
Sono passati esattamente otto mesi da quando ho aderito alla proposta di collaborazione col sito della Consulta. L’ho fatto per due ragioni: prima di tutto per me scrivere è vitale come l’attività di respirare ogni tanto aria pura in compagnia delle marmotte sulle “mie” Dolomiti e come quella di bere acqua cristallina da una sorgente del Parco Nazionale dello Stelvio; secondariamente l’opportunità di utlizzare la lingua italiana dopo sette anni di “espatrio” in un Paese dove si parla inglese e francese mi permette di stabilire un contatto più vivo con la Cultura in cui mi sono formata. Per Cultura intendo l’arte, la musica, la letteratura, il pensiero. La lingua italiana, se consapevolmente ridotta al suo più puro etimo, rispecchia questa Cultura. E deve essere studiata, parlata e scritta in un modo responsabile. Solo così essa può veicolare con chiarezza la luce del pensiero e la rettitudine di intenzioni.
Il mio pensiero riconoscente va a chi mi ha scelta e a chi mi ha accettata. Il mio pensiero riconoscente va alla sapiente orchestrazione del programmatore silenzioso che mette al servizio di questa entusiasmante avventura collettiva la sua intelligenza, la sua sensibilità, la sua perizia.

Antonia Chimenti

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