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sarà capace di salvarsi dall’abisso?
Dialogo fra Giorgio Nebbia ed Hermes Pittelli sul futuro del mondo…
Hermes Pittelli. Il cielo sta per crollarci sulla testa. Il Professor Giorgio Nebbia, docente emerito di Merceologia all’Università di Bari, saggista e ambientalista attivo e combattivo, ricorre alla metafora dei Galli inventati da Goscinny / Uderzo , quelli che resistono ancora e sempre all’invasore e che hanno paura di una sola cosa (che la volta celeste cada sulle loro teste, appunto), per ammonire l’umanità prossima al punto di non ritorno.
“Se non vogliamo essere buoni per motivi ecologici, cerchiamo di esserlo almeno per motivi egoistici”. Tradotto, se non vogliamo rinunciare agli insensati agi della pseudo civiltà consumistica, facciamolo per preservare la nostra stessa vita. Non solo perché il modello economico capitalista, basato sull’esaltazione del massimo profitto e dello sfruttamento senza limiti delle risorse ci sta conducendo a un passo dalla catastrofe climatica, ma anche perché l’aumento dell’esclusione di fette sempre più larghe delle popolazioni della terra da questo “benessere” — popolazioni depredate delle loro risorse e del loro futuro — genera sempre più spesso uno stato di conflitti sanguinosi e permanenti.
Pittelli. Professore: spira una brutta aria sul clima mondiale ?
Nebbia. Si; le attività umane stanno immettendo nell’aria — quella “congregazione di vapori” come la chiama Amleto — una crescente quantità di sostanze che, oltre a causare danni alla salute nelle vicinanze dei luoghi di emissione, si disperdono in tutta l’atmosfera terrestre e stanno cambiando la temperatura del pianeta. Ciò è dovuto al cambiamento dell’equilibrio, delicatissimo, fra l’energia solare che entra nell’atmosfera e raggiunge la superficie della Terra, e l”energia che la Terra, un corpo “molto caldo” a circa 15 gradi Celsiu, rispetto agli spazi interplanetari circostanti (alla temperatura di circa –270 gradi Celsius) irraggia e perde nello spazio.
Tale delicato equilibrio dipende dalla trasparenza dell’atmosfera alla radiazione in arrivo e alla radiazione in uscita dalla Terra. Se, come sta avvenendo, cambia la composizione chimica dell’atmosfera e cambiano quindi le sue proprietà di trasparenza, all’interno dell’atmosfera, e quindi sulla superficie dell’interio pianeta, aumenta il calore intrappolato, come in una serra, e quindi aumenta la temperatura degli oceani, dei continenti, la circolazione delle acque; cambia, insomma, in peggio, il clima del pianeta.
Pittelli. Il vertice climatico di Copenhagen nasce sotto una cattiva stella. Il viaggio di Obama in Cina, con l’esclusione di un accordo sulle emissioni di CO2, lo rende già superato e inutile?
Nebbia. No, non sarebbe superato se servisse a far capire ai governanti della Terra, una volta tanto riuniti tutti insieme, apparentemente uniti dal fine comune dell’interesse del pianeta e dei suoi abitanti, quello che sta succedendo e i rimedi che sin possono (e devono) prendere. Ci sono delle diversità di vedute fra i vari paesi perché i rimedi per rallentare le modificazioni del clima planetario costano dei soldi, spesso tanti soldi. Si tratta di modificazione dei cicli produttivi, delle pratiche agricole e forestali, di cambiamenti nel tipo e nella quantità di consumi; si tratta di sanare o attenuare ingiustizie sociali. I paesi ricchi inquinano di più perché sono ricchi e sprecano; i parsi poveri contribuiscono ai mutamenti climatici perché cercano di migliorare le loro condizioni di vita: tagliano le foreste per poter vendere legno e minerali, accettano industrie inquinanti per guadagnare qualche soldo. Una ragionevole proposta è che i paesi ricchi moderino il loro inquinamento e diano dei soldi ai paesi poveri perché producano legname e minerali e prodotti agricoli con pratiche meno inquinanti.
Pittelli. Lei, al convegno organizzato da Attac Italia il 14 novembre 2009 sui cambiamenti climatici, ha definito “falangi” le delegazioni che marceranno sulla capitale danese. Si riferiva soprattutto a politici, portaborse e lobbisti. Può chiarire perché ? Può spiegarci per quale motivo i lobbisti sono ammessi a un tavolo di confronto sulla salute del pianeta?
Nebbia. Pare che a Copenhagen vadano migliaia di persone, alcuni al seguito delle delegazioni governative, alcuni per far sentire la richiesta di giustizia e di ambiente pulito dei cittadini della Terra, altri — quelli che ho chiamato lobbisti — per difendere gli interessi dei loro datori di lavoro. E si danno e si daranno un gran da fare per spiegare ai governanti che la situazione non è poi così grave, che forse i mutamenti climatici non ci sono, che non è colpa del petrolio o del carbone, che forse ci sono ma che non è colpa delle attività umane, che (se sono pagati dalle industrie) è colpa degli agricoltori; che (se sono pagati dagli agricoltori) è colpa delle industrie, e così via. Insomma cercano di attenuare i costi che ciascuno dei loro datori di lavoro teme di dover affrontare (se verrà imposta una limitazione delle emissioni di agenti inquinanti) per i cambiamenti della produzione, per cui le merci costeranno di più e se ne venderanno di meno. Tutto li. A questa gente del futuro del pianeta non interessa niente. Ci sono poi i lobbisti interessati a sostenere che i mutamenti climatici si possono attenuare se le loro aziende vendono più pannelli solari, o più motori a vento, o più centrali nucleari e che per tutte queste azioni virtuose gli stati devono tirare fuori dei soldi e darli ai loro datori di lavoro per contribuire al bene dei loro cittadini: insomma al fine della produzione di soldi a mezzo di ecologia.
Pittelli. Tutti i guasti ambientali sono dovuti a cose buone: il riscaldamento nelle case, l’energia elettrica, i carburanti per i trasporti, l’energia per la lavorazione dei campi. Argomenti formidabili per negazionisti dei mutamenti climatici e per chi difende gli interessi delle multinazionali: Come ne usciamo? Cosa possiamo dire a quei cittadini “passivi” ormai assuefatti e dipendenti dalle comodità della civiltà capitalista occidentale schierati con chi sta portando il pianeta verso l’autodistruzione?
Nebbia. Si può spiegare che il “non fare”, il non prendere iniziative per fermare i mutamenti climatici si traducono in costi che dovranno pagare; i mutamenti climatici innescano azioni che costano: aumento di piogge che provocano alluvioni e frane e distruzione dio case e strade e ponti, che costa ricostruire; innalzamento del livello dei mari che richiederanno costose opere di difesa delle città costiere, o abbandono di terre costiere; avanzata dei deserti con aumento del prezzo delle derrate agricole e quindi degli alimenti che troveranno nel mercato; perdita di profitti per perdita di turismo. Insomma, se i nostri coinquilini del pianeta Terra non intendono rinunciare alle comodità della “società dei consumi capitalistica” dovranno pagare sempre di più in futuro tali comodità, e in alcuni casi ne saranno privati, per la forza distruttiva della natura violentata dal loro stesso comportamento.
Pittelli. Lei ha definito l’emission trading un moderno mercato delle indulgenze. Può spiegare in breve a chi crede che il protocollo di Kyoto sia risolutivo per i guasti climatici quanto si tratti in realtà di un pallido palliativo ?
Nebbia. Qualsiasi accordo fatto in buona fede può non essere un palliativo; non condivido la politica del commercio del diritto ad inquinare, secondo cui chi inquina emettendo anidride carbonica e gas serra nell’atmosfera, può “comprare” tale diritto da qualcuno che si impegna a inquinare un poco di meno; il dovere è di inquinare di meno tutti. Diverso è il caso in cui i paesi industriali si impegnano a risarcire con denaro il minore reddito di coloro che, nei paesi poveri, rinunciano a tagliare le foreste, a estrarre minerale, alle monocolture intensive, che finora sono spesso le uniche fonti di reddito, traendo lo stesso reddito, grazie ai soldi dei paesi ricchi, con pratiche di vita e agricole e forestali che conservano le condizioni ambientali che “non” generano gas serra. Questi impegni — a inquinare di meno, a risarcire i paesi poveri perché evitino pratiche che fanno aumentare i gas serra — dovrebbero essere il fine delle riunioni della lunga serie di incontri internazionali cominciata a Rio de Janeiro, continuata a Kyoto, ora a Copenhagen, eccetera
Pittelli. L’Eni e Scajola premono per l’interramento della CO2. Non sembra una grande soluzione ?
Nebbia. L’Italia avrà grossi problemi nelle discussioni di Copenhagen perché, per sofismi vari, ha fatto ben poco sia sul fronte delle fonti energetiche rinnovabili sia, soprattutto, per cambiamenti tecnico-scientifici e merceologici che dovrebbero limitare le emissioni di gas serra. La proposta di continuare a generare gas serra, a bruciare carbone e petrolio nelle centrali e nei forni, e poi di sotterrare l’anidride carbonica mi sembra un po’ come le massaie che invece di pulire nascondono la polvere sotto il tappeto. Del resto l’idea di far passare enormi quantità di gas di scarico delle centrali, contenenti pochi percento di anidride carbonica, in un sistema che separi l’anidride carbonica e poi di liquefare tale anidride carbonica e di spedirla allo stato liquido, o anche gassoso, a centinaia di chilometri di distanza e poi di immetterla nelle caverne sotterranee da cui è stata estratta acqua o gas naturale o petrolio, non risolve il problema perché ciascuna di queste operazioni richiede energia e, se si fa il conto, il costo in energia (cioè i chili di anidride carbonica prodotta) è maggiore della quantità di anidride carbonica che si fa “scomparire” e si mette sotto terra. A parte problemi geologici di tenuta dei serbatoi sotterranei. A mio modesto parere non è questo che l’Italia dovrebbe proporre come grande furbizia.
Pittelli. Professore, dobbiamo rassegnarci. O mutare i nostri stili di vita o scomparire. Concretamente, cosa dobbiamo fare da subito per salvare il pianeta e la stessa razza umana? Qualcuno ipotizza la necessità della scomparsa del capitalismo occidentale e della rivoluzione industriale per costruire una controrivoluzione o capitalismo verde. Ma come sempre i volponi del profitto agitano lo spettro della miseria: es. se non produciamo più auto, mandiamo sul lastrico gli operai.
Nebbia. Di certo il capitalismo come lo conosciamo è destinato a scomparire per lasciare il posto, se non a un sistema sociale più attento alle persone e all’ambiente, ad un capitalismo meno becero, riformato in cui l’attenzione al benessere prenda il poso dell’idolatria dei soldi. Se i paesi occidentali non accetteranno la transizione, tale transizione sarà imposta dalla pressione dei popoli emergenti. Il destino della sfrontatezza e dell’esibizionismo e del lusso del capitalismo fa venire in mente un famoso sonetto di Shelley che racconta di una gigantesca statua del faraone Ramesse, abbandonata semisommersa dalla sabbia nel deserto egiziano, sulla quale era incisa la frase: “Io sono Ozymandias, re dei re: guarda le mie opere o tu potente e sappi regolarti”. Ecco anche il potente capitalismo occidentale (e non solo occidentale, ormai) dovrebbe sapere quello che lo aspetta, deserti e alluvioni, se non cambia in fretta.
Pittelli. Professore, al bando le utopie. Ma per mutare, invece del clima, le pessime abitudini merceologiche e di consumo non solo degli occidentali ma delle economie emergenti, come possiamo intervenire ? A chi spetta intervenire in modo sostanziale e pianificare questa vera rivoluzione copernicana ?
Nebbia. Spetta a lei come giornalista, a me come (sia pure ex) insegnante, a chi può fare informazione e cultura; spetta a chi è capace di spiegare i rapporti fra merci e consumi e il mondo circostante, a chi riesce a propagandare valori come solidarietà,
come capacità di guardare al futuro, di guardare il cielo come grande portatore di energia per le piante e la vita ma anche di veleni per la salute, al valore del silenzio; anche il chiacchiericcio consuma energia a immette gas serra nell’atmosfera.
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