l’immagine è un’opera di Catherine Thomas
La cura di vecchi e di bambini e la manutenzione della casa sono ancora un fatto di donne, così se diventa necessario un aiuto, è quasi sempre compito nostro cercare la donna “giusta”, in genere si tratta di una straniera, e tocca a noi gestire il rapporto. Ma il rapporto con queste donne non è semplice e quante di noi hanno sperimentato una relazione diretta sanno che si tratta di un corpo a corpo duro per entrambe. Potrei fare degli esempi, ma ormai in tante sappiamo per conoscenza, diretta o indiretta, quanto sia delicato interagire su un terreno minato come la cura, quanta buona volontà occorra per trovare un punto di equilibrio, quotidianamente.
Ma se è vero che tante straniere supportano la nostra emancipazione, altre, piene di inventiva, hanno saputo fare fronte a situazioni di partenza svantaggiate e non si sono arrese diventando piccole imprenditrici, commercianti, sarte, artigiane.
Questo ho imparato da Sarah Zuhra Lukanic, conosciuta nel 2010 alla Scuola politica Udi, a Genova. Il titolo del suo intervento era: “La donna immigrata imprenditrice nella società italiana”(1) . Non conoscevo Sarah, né sapevo cosa aspettarmi, ma il suo racconto, come lo chiamò lei stessa, mi aprì un mondo.
Nella trascrizione del suo intervento leggo: “Prima di parlare di imprenditoria immigrata devo dirvi che quando parlo di questo mi dicono “ma esiste una imprenditoria immigrata femminile?”, rispondo “sì esiste, ci sono trentamila aziende in Italia gestite da donne immigrate: è un dato di fatto, è una risorsa in crescita e loro danno lavoro a tante persone”, poi dico chi sono queste donne.”
Sono tanti i dati che fornisce, varie le considerazioni che le vengono dall’esperienza e diverse le storie che racconta con passione.
Ecco “una donna colombiana che ha avuto un percorso dolorosissimo anche per quanto riguarda la situazione con il marito e ha cambiato mille lavori perché qui è venuta con un figlio: insomma una donna separata con mille problemi senza documenti e senza nulla. Ovviamente queste donne non possono tornare a casa. L’incredibile vita di Margherite Perez Sanchez è come i ricami che impreziosiscono le sue creazioni di sartoria. Lei è la proprietaria della “Clinica dei vestiti” in via Macedonia a Roma […] mi accoglie nel suo negozio con un sorriso che le rimane anche quando mi parla dei periodi più bui della sua vita. Nel maggio scorso si è classificata prima nella categoria “innovazione” il premio all’imprenditoria immigrata in Italia”. E altre ancora.
Non ho più dimenticato la “lezione” di Sarah, per diverse ragioni. La più ovvia è che una nuova progettualità politica sul lavoro deve necessariamente tenere conto della presenza anche di queste donne. La meno scontata è che queste donne hanno saputo guardarsi intorno, vedere la realtà in cui si trovano e “inventare” il lavoro.
Qualche giorno fa, per caso, in rete, ho ritrovato Sarah Zuhra Lukanic e le sue imprenditrici nel video “Strane straniere, 13 imprenditrici di successo in Italia”. “Un progetto che guarda all’inaspettato e restituisce storie di passione e ingegno nel volto di tredici donne immigrate. Arrivate da luoghi, i più lontani e i più vicini, dalla Romania alla Tunisia passando per l’Iran o il Niger, la Cina o il Perù, e superando mille difficoltà, con una profonda fiducia, hanno creato un’impresa di successo in Italia. Strane straniere, spiegano l’antropologa Maria Antonietta Mariani e la scrittrice Sarah Zuhra Lukanic, è una ricerca che si è fatta rete con laboratori-performance dove queste donne raccontano al pubblico sogni realizzati grazie alla capacità generatrice del femminile tra ricambi, telai, opere d’arte, fili, tessuti, spezie, formule ayurvediche e cibo.
Ne consiglio la visione, per conoscerci meglio.
Pina Nuzzo
(1) trascrizione della Relazione di Sarah Zuhra Lukanic (pag 60) negli atti della Scuola politica Udi, quinta edizione: Identità di passaggio: il corpo fertile delle donne tra riproduzione, lavoro e desiderio a cura di Valentina Sonzini, Genova 2010
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