I 30-40enni vogliono essere una risorsa per il Paese
Iniziativa sul Web, su Facebook e su Twitter. Nei commenti qui sotto le vostre storie
Nel giorno dell’esodo agostano, su Internet è partita un’iniziativa interessante tutta Web e social, per rispondere con uno scatto d’orgoglio al dibattito sul destino di una generazione che Mario Monti in una recente intervista ha chiamato, appunto, “perduta”. “Generazione Perduta” è una piattaforma-manifesto rivolta ai trentenni e quarantenni italiani che non vogliono perdere. Sul sito si può firmare il Manifesto, altrimenti si può cliccare “Mi piace” sulla pagina ufficiale Facebook o condividere l’hashtag Twitter #generazioneperduta.
La generazione “perduta” dei trenta-quarantenni coinvolge ben dieci milioni di cittadini, più o meno un sesto della popolazione: Monti ha dichiarato che il governo per loro potrebbe solo sforzarsi di “limitare i danni”. “Generazione Perduta” vorrebbe facilitare il confronto fra tutti coloro che si sentono, al contrario, una risorsa per il Paese.
Chi c’è dietro questo appello? I promotori sono i seguenti 24, tutti presenti su Twitter: Stefano Epifani, Ernesto Belisario, Guido Scorza, Roberto Scano, Alessandra Poggiani, Vincenzo Capozzoli, Marco Pierani, Francesca Comunello, Alessio Jacona, Diletta Parlangeli, Sergio Ragone, Andreas Voigt, Domitilla Ferrari, Maurizio Pesce, Mirko Lalli, Matteo Fantuzzi, Andrea Fama, Gianluca Sgueo, Nicola Ballotta, Francesco Paolo Micozzi, Alessandra Farabegoli, Gianluca Diegoli, Mariangela Vaglio, Valentina Spotti.
Ma stanno già fioccando centinaia di firme che sottoscrivono.
Ecco il Manifesto:
“Noi siamo la generazione perduta. Quei 30-40enni italiani per i quali – come ha di recente confermato il Presidente Monti – lo Stato non potrebbe far altro che limitare i danni. Perché è ormai troppo tardi per offrirci speranze e futuro.
Siamo consapevoli – e ce lo ha ricordato lo stesso Premier – che le responsabilità di questa situazione sono di un’altra generazione: quella alla quale appartiene buona parte della classe dirigente che negli ultimi venti anni ha guidato questo Paese.
Oggi i quasi dieci milioni di italiani che appartengono alla nostra generazione vengono considerati “perduti” ed invitati ad accettare con rassegnazione un destino senza speranze né futuro. E padri senza futuro non possono generare figli capaci di averne.
Praticamente, il risultato di un esperimento dall’esito fallimentare, che ha avuto per laboratorio il Paese intero e noi come cavie. Dieci milioni di vittime sono un bilancio inaccettabile per il Paese, rispetto al quale è necessario interrogarsi sulle reali responsabilità di chi ha prodotto questo disastro.
Eppure non ci sentiamo “perduti”. Né abbiamo voglia di rassegnarci ad un destino che altri hanno scritto per noi, anche se siamo consapevoli che molti di noi per troppo tempo hanno atteso che ’altri’ si occupassero dei nostri problemi.
Per questo motivo, siamo convinti che non possono essere gli stessi che ci hanno condotto sin qui a farci uscire da questo guado, soprattutto se la loro più elevata ambizione è quella di ’limitare i danni’.
È arrivato il momento, prima che sia davvero troppo tardi, di ritrovarci, contarci edaggregarci attorno ad alcune parole chiave, cinque tag dai quali ripartire.
La nostra non è una iniziativa finalizzata a creare un’associazione o un movimento politico. Nè cerchiamo o vogliamo padrini di alcun tipo. Siamo professionisti, dirigenti, giornalisti, docenti, ricercatori, imprenditori, cocopro, che non vogliono – e, visti i risultati, non possono – delegare ancora ad altri il compito di scrivere il proprio futuro e quello dell’Italia.
Vogliamo impegnarci, ciascuno nel proprio ambito di competenza, a scrivere per noi e per il Paese un destino diverso rispetto a quello al quale chi ci ha governato sin qui ci vorrebbe inesorabilemnte condannati, perché siamo convinti di essere una risorsa per il Paese troppo a lungo ignorata e sacrificata.
Servono, probabilmente, poche parole, tanta buona volontà, speranze ed ottimismo. Doti che, evidentemente, non appartengono più a chi ci vorrebbe convincere che il miglior futuro possibile per noi sia la limitazione dei danni.
Ecco le parole per raccontare quello che vogliamo e che faremo.
1. Rispetto
È innanzi tutto quello che chiediamo a chi ci ha condotto a questa situazione ed oggi pretende di tenerci ancora ai margini delle decisioni che riguardano il nostro presente ed il nostro futuro, e quindi quello del Paese, raccontando che per noi è troppo tardi per fare qualsiasi cosa. Rispetto è quello che diamo e promettiamo alle generazioni che ci hanno preceduto, ma alle quali chiediamo ora di passare il testimone. Senza ’guerre generazionali’ ma seguendo il normale ordine delle cose.
2. Merito
Non chiediamo favori o ’quote giovani’ che tanti danni hanno già fatto al Paese. Vogliamo impegnarci per l’affermazione di una vera cultura del merito che premi i migliori e porti con sé un’etica delle responsabilità per la quale essere giovani non debba essere un vantaggio, ma non rappresenti nemmeno un ostacolo. Un Paese che non si doti delle necessarie regole per garantire il merito, oggi rinuncia alle migliori energie ed idee che ha a disposizione. Non perde solo una generazione, ma perde sé stesso.
3. Impegno
Vogliamo recuperare la dimensione perduta dell’impegno. Quella dimensione che ci porta ad essere cittadini attivi nel lavoro, nella società, nella famiglia. È una dimensione troppo spesso dimenticata in questo Paese in favore proprio di quei disvalori (clientelismo, corruzione, lottizzazioni) che ci hanno condotto nella situazione attuale.
4. Progetto
Abbiamo voglia di recuperare progettualità individuale e collettiva. La prima che ci permetta di avere un mutuo, comprare casa, fare figli. La seconda che ci consenta di disegnare il Paese che vogliamo: più moderno, solidale, competitivo. In grado di superare le contingenze guardando sempre al proprio futuro con un obiettivo chiaro.
5. Fiducia
Siamo stanchi di facili disfattismi e diagnosi che, sottraendoci la speranza, ci negano la possibilità di progettare e sognare. Abbiamo deciso di avere fiducia in noi stessi perché siamo convinti di essere una risorsa per il Paese e chiediamo fiducia per non essere considerati prima eterni ragazzi che non sono ancora pronti, e poi errori di percorso da non ripetere e che basta dare per persi.”
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