Era l’8 agosto di 60 anni fa

mar1 - MARCINELLE 
 1956-2016, LA TRAGEDIA DEI MINATORI TRA RIMOZIONE E MEMORIA
 
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 1956-2016, LA TRAGEDIA DEI MINATORI TRA RIMOZIONE E MEMORIA

I testimoni la ricordano come la “catastròfa”, a metà tra dialetto e francese. L’incidente dei minatori del Bois du Cazier costò la vita a 262 operai e fu una delle più grandi tragedie del lavoro. Gli italiani morti nell’incendio furono 136. Una pagina drammatica di quando gli emigrati eravamo noi, su cui ancora aleggia una rimozione sottile nonostante le tante iniziative per ricordarla. Una memoria, quella dell’immigrazione italiana in Belgio nel secolo scorso, alimentata soprattutto dagli ultimi minatori e da associazioni italiane Tweet Il Bosco dei ricordi. Marcinelle al di là della tragedia Da Roma a Marcinelle, per non dimenticare l’emigrazione italiana in Belgio Marcinelle, storie dalla catastrofe del Bois du Cazier Marcinelle 1956-2016, sessant’anni fa la catastrofe dei minatori Restaurato il film ‘maledetto’ di Paul Meyer sui minatori italiani in Belgio Dal carbone all’Erasmus. La nuova emigrazione degli italiani in Belgio di Alessandra Solarino 05 agosto 2016 Volevano costruirci un centro commerciale e soltanto per le proteste degli ex minatori e delle associazioni che cercano di preservare la memoria dell’emigrazione italiana in Belgio, nel luogo dove negli anni Cinquanta sorgeva la miniera del Bois de Cazier, nell’ex bacino carbonifero di Charleroi, oggi è possibile visitare quel che resta della tragedia di Marcinelle. Un memorial con le foto delle vittime, le cosiddette “gabbie”, cioè gli ascensori che trasportavano carbone e operai, incastonati in nuove strutture, la sala degli impiccati, dove si trovavano le docce, e negli ex locali della miniera i musei dell’industria e del vetro, che raccontano il passato industriale dell’area. Cos’era l’accordo “braccia-carbone” E’ Alcide De Gasperi a firmare il protocollo d’intesa con il Belgio, che segna l’inizio dell’emigrazione massiccia degli italiani nelle miniere del Regno di Baldovino, quella che la storica belga di origine italiana, Anna Morelli, definisce come una “deportazione” vera e propria, che obbliga quelli che decidono di partire per sfuggire alla miseria e alla disoccupazione a scendere nel sottosuolo per almeno 5 anni, pena la detenzione. L’economia dell’Italia, uscita perdente dalla Seconda Guerra Mondiale, è in ginocchio, ma la manodopera è in eccesso. Al contrario il Belgio è ricco di materie prime. La manodopera ci sarebbe, ma i belgi si rifiutano di lavorare nelle miniere, lavoro che giudicano pesante e mal retribuito, a cui fino a quel momento erano destinati i prigionieri di guerra. L’accordo prevede l’invio di 2mila operai a settimana, 50mila in totale. Cifra destinata ad aumentare perché dall’Italia arrivano fin da subito anche le famiglie dei minatori, mogli, figli, genitori. In cambio Bruxelles si impegna a fornire al nostro Paese il carbone a basso costo. Nelle città e nei paesi iniziano a comparire i manifesti rosa di “reclutamento”, che promettono lavoro e salario, magnifiche sorti e progressive in un’Italia che deve ancora rialzarsi. Sui diritti dei lavoratori e sulle condizioni di lavoro non c’è una riga. Unico requisito richiesto, una buona salute e un’età massima di 35 anni. Nessuna preparazione è richiesta. Molti scenderanno in miniera per la prima volta in Belgio. Un patto “scellerato” come lo definisce Paolo Di Stefano, scrittore e giornalista del Corriere della Sera autore del libro “La catastròfa” (editore Sellerio).

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