il dolore sublimato
Brandelli di carne lacerata e sofferente, lucidità spietata di una mente che avrà pure perduto “le sue ragioni” ma non la ragione di esistere, che nel suo caso si identifica con l’arte. Sì. L’arte è anche capacità di esprimere un’epoca con le sue contraddizioni, i suoi luoghi comuni, le sue ridicolaggini, così lontane dalle aspirazioni alla bontà e all’amore che ci accomunano.
La grande Maria Marchesi ha saputo ricreare con accenti moderni e nel contempo non datati la fatica di continuare ad essere vivi in un mondo pieno di forme vuote. Un assaggio: “La bellezza è semplice, pensiero innovativo/e lavoro nello spirito contemporaneo motivano/la fantasia della creazione…” Tuttavia, finita la recita sociale, ritorna il contatto rude con la realtà: “Recito me stessa nel negozio nella casa/aspetto che la notte si sbrachi che il sogno/si inaridisca tra le lenzuola/che puzzano di naftalina “eppure si deve dominare il dolore, “vivendolo”: “Gli eventi bisogna reciderli sul nascere/o seguirli passo dopo passo/per trarne lievito per il pane/se le cicatrici diventano troppe/si finisce per confondere vita e ferite”. Ma nel dolore più profondo e nel più tetro squallore è sempre vivo l’anelito al Bene: “… l’ho sempre saputo/che anche imbrattati di scorie puzzolenti/si può salire agili sulle vette”
Di Maria Marchesi, premio Viareggio 2004, sappiamo solo ciò che lei dice di se stessa nella premessa al libro “L’occhio dell’ala”. Poco importano le vicissitudini dolorose e squallide di una vita. La catarsi è rappresentata dalla sincerità adamantina di questa confessione racchiusa nello spazio esiguo di due volumi di poesie. In fondo, come lei stessa asserisce, “le storie degli uomini rassomigliano tutte, i libri di poesia, se nascono dalla necessità della scrittura, no”.
Antonia Chimenti
Opere:
L’occhio dell’ala, Lepisma, Roma 2003
Evitare il contatto con la luce, Lepisma, Roma, 2005
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