di Alina Rizzi

Due donne, due coetanee. Una è alta, bionda, elegante, sorseggia qualcosa di alcolico in un bicchiere largo e pesante. L’altra è più bassa, ma non di molto, ha un bel corpo, capelli lunghi e scuri, abiti sportivi. Beve un te scaldandosi le dita attorno alla tazza . Si conoscono da molto tempo, ma si vedono non più di una volta all’anno.

MARIA – Non ne ho la stoffa, semplicemente. E’ tutto qui il problema. Mi sono illusa che potesse funzionare, ma mi sbagliavo.
L’ALTRA – Non dire sciocchezze. Nessuna di noi nasce abilitata al ruolo. Occorre imparare, un po’ per volta, con molta pazienza. E’ una strada lunga e tortuosa, ma soprattutto non c’è un modo giusto o sbagliato di comportarsi.
MARIA – Figurati. A sentire mia madre sono una snaturata. Le amiche mi compatiscono, quelle single invece, gongolano segretamente. No, senti: mi sono messa la catena al collo con le mie stesse mani, dunque non posso prendermela che con me stessa.
L’ALTRA – Vedi? Esageri sempre. Non hai mezze misure. Oggi ti va di parlare così, sei sfiduciata e triste. La scorsa settimana al telefono eri brillante e piena di entusiasmo. Sentivo tuo figlio ridere in sottofondo, segno che non va’ così male come credi, che non sei quel mostro di madre che descrivi.
MARIA – Bè certo, alcuni giorni vanno meglio di altri, altrimenti sarebbe un ergastolo. Comunque è inutile insistere, credo sia impossibile intenderci, pur con tutta la buona volontà. Tu hai sempre voluto essere madre, già da quando eri ragazzina, me lo ricordo bene. Dicevi: quando avrò la mia casa, un marito i figli. Già immaginavi i particolari. Io invece sono sempre stata allergica ai bambini: non so cosa fare con loro, mi annoiano, non so come divertirli e divertirmi. Io non ho mai giocato coi giocattoli, neppure da bambina, figurati se ho voglia di farlo adesso che ho quasi quarant’anni. Non ce la faccio proprio. E poi senti: la verità è che se avessi aspettato altri tre mesi non se ne sarebbe fatto niente di niente. L’estro mi sarebbe fuggito via e buonanotte. E invece, hai visto che fortuna? Il tempo di pensarci seriamente e in meno di un anno ho messo al mondo Matteo. Un delirio d’amore per suo padre che è sfociato in questa rivoluzione.
L’ALTRA – Hai detto bene Maria, tuo figlio è un delirio d’amore, una fantastica novità. E’ in questi termini che devi pensare a lui. Non alla catena, all’ergastolo e via dicendo.
MARIA – Sì, sì. Però sembra che non riesca a spiegarmi oggi, eppure mi conosci. Ho bisogno dei miei spazi, di libertà di movimento, di stare sola per pensare, per lavorare. Mi dici come faccio con un bambino di undici mesi sempre al collo? E non fare quella faccia, per favore. Non si tratta di amore, questo non si discute neppure. Io amo mio figlio, è parte di me, non potrei vivere senza di lui, ora che c’è. Ciò non toglie che non posso sopportare di dover condividere ogni istante del giorno e della notte con lui. A volte mi gira la testa, capisci? Intendo fisicamente, ho dei capogiri. Non so neppure dove sono, cosa sto facendo. Corro attorno a lui, soddisfo le sue esigenze da quando apre gli occhi a quando li chiude e perdo il senso del tempo. Io non ho sorelle, zie, nonne pronte a darmi il cambio all’occorrenza, lo sai. Tu sei fortunata, è diverso per te.
L’ALTRA – Sì, sono fortunata, va bene. Da noi i parenti sono invadenti ma anche utili qualche volta. Ci diamo una mano. E poi guarda, io anche volendo non potrei mai trovarmi sola coi bambini tutto il giorno: c’è mia suocera che arriva con un piatto di riso già cucinato, mia cognata che ha bisogno un favore, mia madre che se non vede i nipoti per più di ventiquattro ore si offende. Magari se abitassimo in una grande città sarebbe diverso, non so.
MARIA – No, figurati. Io li vedo anche qui quelli del sud, si ritrovano comunque, non ce la fanno a stare isolati. Se non ci sono i parenti ci sono gli amici dello stesso paese d’origine, o i vicini di casa. Ma fanno bene, per carità. E’ che io sono abituata in un altro modo, ho vissuto sola per anni.
L’ALTRA – E allora organizzati. Frequenta altre mamme, porta Matteo al parco, fai conoscenze.
MARIA – Ma mi prendi in giro? A me non mancano le amicizie e le conoscenze, e di discutere di biberon e pannolini non me ne frega proprio. Non ho bisogno di chiacchiere inutili sempre attorno al medesimo argomento, ho bisogno di vedere gente adulta con interessi culturali simili ai miei, ho bisogno di stare con le persone che mi piacciono, di uscire sola. E magari di sentirmi anche una donna oltre che una madre, non credi?
L’ALTRA – Perché, scusa, una madre non è più una donna? Allora io cosa sono secondo te, con tre figli sotto i sei anni perennemente al seguito?
MARIA – Tu sei una santa ecco cosa sei. Tu sei la vera Maria tra noi, la mamma ideale, paziente, accogliente, disponibile. Io non so chi sono, non lo so più davvero.
L’ALTRA – Bè grazie, vedo che gli stereotipi sono il tuo forte. Scommetto che quando siamo lontane mi immagini composta e radiosa come la tua madonna, coi sensi addormentati, i sogni seppelliti in fondo al cassetto, le fantasie di un’ottuagenaria. Bel complimento davvero, da amica. E tutto questo soltanto perché ho fatto tre figli in cinque anni e vivo in un paese di provincia? Se stavo in Sudafrica mi consideravi deficiente del tutto?
MARIA – Ecco lo sapevo, ti sei offesa. Figuriamoci: la maternità è un argomento tabù, come ho sempre ribadito. Non se ne parla se non in termini idilliaci ed entusiasti, oppure il rischio è evidentemente quello di ficcarsi in un vespaio di fraintendimenti. Ci rinuncio.
L’ALTRA – E no che non lasci perdere adesso. Troppo comodo. Mi dai della madonna addomesticata e poi chiedi scusa e cambi argomento? Adesso ascolti anche la mia versione dei fatti.
MARIA – Ma cara non mi devi dire niente, ti pare che avrei potuto offenderti intenzionalmente? Ti chiedo scusa, davvero. Sai che sono un’elefantona a volte, entro nei discorsi con la grazia di un pachiderma.
L’ALTRA – Guarda, lasciamo stare la grazia adesso. Ma a proposito di questo ideale di madre perfetta tutta pazienza e dedizione credo proprio che sei fuori strada. E’ vero io ho sempre voluto una famiglia, un marito, dei figli. E li ho avuti per fortuna. Ma credi che non abbia momenti di rabbia, di stanchezza, di delusione? Credi che non abbia mai immaginato di mollarli tutti e quattro e di fuggirmene col primo treno, di perdermi in una grande città della costa, di inventarmi una vita diversa? Insomma stare con lo steso uomo per anni, indipendentemente dall’affetto, è pesante. Crescere dei bambini è faticoso, indubbiamente faticoso. Ti succhiano energie come vampiri. Certe sere ricordo che mi addormentavo nella vasca da bagno per quanto ero esausta. Niente perfezione dunque. Come vedi sono una comune mortale, una donna che sogna altri uomini a volte, proprio così, perché spalanchi gli occhi? Altri uomini con cui fuggire in una notte d’estate senza figli al seguito. Semplicemente non ho l’abitudine di sbandierare i miei dubbi e i miei dilemmi. Sono fatti privati.
MARIA – Sì, hai detto bene, sono fatti privati, ma non parlarne alimenta l’illusione che la maternità sia un luogo ideale in cui ogni donna “normale” deve sentirsi a proprio agio. I silenzi spesso creano fraintendimenti, lo sai quanto me. Non è stando zitte che diamo il buon esempio.
L’ALTRA – Bè insomma, neanche tu che ti paragoni ad un’ergastolana rischi di diventare un modello di comportamento.
MARIA – Ecco, la differenza è che io non ci tengo, tu sì. A me non frega niente di essere criticata, giudicata, accusata. Tu, invece, nascondi così bene i tuoi dubbi e le tue rimostranze perché non vuoi attirare attenzione e critiche. L’apparenza è più importante della realtà.
L’ALTRA – Mi dispiace se pensi questo di me. Credevo mi stimassi di più.
MARIA – Oh per favore non ricominciare, non sopporto questo tono vittimistico. Tu sei una donna in gamba e molto forte, le tue decisioni devono essere senz’altro frutto di una scelta. Se stiamo qui a parlarne è perché evidentemente ci sono modi diversi di guardare la cosa, dal momento che nessuna delle due ha la verità in tasca.
L’ALTRA – Hai ragione, credo sia proprio così. La nostra storia personale, le scelte precedenti, le aspirazioni, ci portano a vivere in maniera diversa la stessa esperienza, senza che nessuna delle due debba per questo sentirsi ipocrita o bugiarda. I nostri figli sono valori assoluti e primari, ma forse non colmano la stessa quantità di vuoto nell’una e nell’altra. Forse io sono una che dalla vita si aspetta di meno, non sono ambiziosa come te, non ho grandi aspirazioni.
MARIA – Ma no, che c’entra. Tu coltivavi il grande sogno di avere una famiglia e dei figli e lo hai realizzato splendidamente. Io invece ho questo pallino per l’arte e la creatività, e la nascita di mio figlio non l’ha scalfitto di un millimetro, né offuscato. Anzi: a volte ho la sensazione di avere il doppio dell’intraprendenza, delle idee, della progettualità che avevo quando lui non esisteva ancora.
L’ALTRA – Stai dicendo che lui è di stimolo alla tua creatività?
MARIA – Sì, proprio così. Incredibile, vero? Poco fa mi paragonavo ad un’ergastolana e ora mi sembra così evidente la quantità di energie in più messe in circolo dalla sua nascita. Come se mi avesse costretta ad attingere ad ogni riserva segreta, a tirar fuori tutta la forza di cui dispongo. Dividermi tra lui e le mie esigenze personali mi obbliga in pratica a dare il massimo e il meglio di me. Ogni giorno. Ogni istante.
L’ALTRA – Certo che è così, ti capisco. E credo che dovresti trovare il modo di dipingerlo tutto questo, per te e per lui, per tuo figlio intendo, perché un giorno sappia quanto ha partecipato attivamente alla tua opera e possa esserne fiero.
MARIA – Ah tesoro, come avrei voluto avere te per madre, e il tuo buon senso, la tua dolcezza ad ogni risveglio. Come invidio i tuoi figli e quel nido al sole che ti attende. Ma verremo prestissimo a trovarvi, puoi contarci. Matteo deve assolutamente conoscere i suoi cugini maghrebini e la zia dai grandi occhi scuri. Sarà il suo primo volo internazionale.

Un’occhiata al grande orologio sulla parete di fronte e le due donne si alzano insieme, dopo aver lasciato del denaro sul tavolino. Si dividono equamente le borse più pesanti e si dirigono verso il chek-in. Maria aiuta l’amica a sistemarsi il foulard di seta chiara sopra i capelli e, nell’accomodarle una ciocca ribelle, le sfiora la guancia con due dita. Sorridono.
Uno speaker annuncia il prossimo volo per Marrakech.

Testo pubblicato nell’antologia Autobahn edita da Travenbooks nel 2005.

… per informazioni: Alina Rizzi email 1 - MARIA

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