di Giuseppe Favati
A due anni da Per esempio, con la coda dell’occhio, romanzo “illuminista” ed erotico non alieno dall’accenno a temi sociali molto contemporanei (l’omosessualità, per esempio, o la vita sessuale degli anziani), uscito nel 2005 presso Manni Editore, Giuseppe Favati pubblica ora un nuovo romanzo, Mater certa, per Il Ponte Editore.
Nato a Pisa nel 1927, Favati vive a Firenze. La storia della sua attività letteraria e giornalistica viene da lontano: è stato segretario di redazione di Nuova Repubblica (1953-1957); poi fondatore e redattore, con Giuseppe Zagarrio, della rivista letteraria Quasi (1971-1984); è caporedattore del mensile Il ponte, l’importante rivista di politica, economia e cultura fondata subito dopo la Liberazione da Piero Calamandrei.
Mater certa è il romanzo a più voci di una famiglia (ogni voce recita per sé ma anche, attraverso il particolare filtro del proprio personalissimo vissuto, per tutti). E già, questa, è una scelta indirizzata, implicitamente, a sfatare i miti correnti della famiglia (tradizionale). Ma quando comincia la tradizione, e da dove? Dai patriarchi con mogli, schiave, concubine-figlie dell’antico Testamento, oppure dalle nonne eteree cresciute
ignare dietro le imposte del salotto buono fino al momento di essere consegnate al marito? O ancora dalle bisnonne votate al socialismo e al libro pensiero? L’interrogativo non è esplicito nel romanzo, ma sorge nella mente del lettore, quasi suggerito dalle situazioni dei diversi personaggi che animano il racconto.
Ghita, la madre, innanzitutto, figlia unica di una coppia traumaticamente descritta nelle prime pagine della storia, “tre figli distanziati ben poco per età”, un marito che, dopo averla salvata dall’anoressia, la ama troppo – e questo troppo si traduce in una disfunzione sessuale mai curata …-. Ghita è pervasa dal “disperato desiderio di donare se stessa”. Praticando questa donazione si occupa di una, due case; vagheggia un amore – o almeno svagati incontri – quando il marito, assente, trascorre le sue giornate “di là”, chiuso nel silenzio del suo mondo malato. Ma finalmente, già quasi verso la fine del percorso della sua vita, dopo la morte del marito, scopre che “mi hanno stancata i miei figli”, e si dirige verso nuovi spazi, mentali e non solo.
Chicca, la figlia, è “nata politicamente con la guerriglia”. Ci racconta le sue vicende politiche e sentimentali, al limite tra perbenismo e rivoluzione, e introduce un originale capitolo-saggio dentro/fuori la narrazione romanzesca: La revisione neokantiana del marxismo (da pag. 29 a pag. 48). Ma ci avverte che queste pagine si possono saltare “senza pregiudizio di quanto di romanzesco seguirà”.
Memo e Galliano, i due figli maschi dai nomi tanto originali quanto effimeri se considerati in rapporto alle motivazioni genitoriali della loro scelta, narrano senza schermi le proprie vicende lavorative e sentimentali. Vicende, spesso, non liete che, al di là del romanzesco, propongono, quasi sfiorandoli, ma non per questo in modo meno incisivo, temi attuali gravi e scottanti: tempi e modi dell’assistenza medica, libertà di scelta del malato nel nostro Paese; torture, fame, aids, in altre parti del mondo (“mi sovviene di essere persona, quanti lo sono fra i miliardi di viventi?”, si chiede a un certo punto Galliano).
Mater certa è dunque un libro complesso per i temi di riflessione che suggerisce al lettore, ed è tuttavia un libro di lettura scorrevole ed invitante, grazie anche alla scrittura originale dell’autore, a volte allusiva, altre estremente sintetica, altre ironica, quasi in una commistione di stili, varii e multiformi, così come è multiforme la vita quando viene narrata in concretezza e verità.
Eleonora Bellini
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