La domanda aumenta, è un affare miliardario. Si tratta del borsismo della maternità surrogata. E’ un boom, incentivato da chi ha molti interessi nel settore. Passa attraverso la politica e la permeazione dei diritti antidiscriminatori, che guarda caso valgono molto quando dietro di essi c’è il guadagno. Al contrario di quando tali diritti – legati principalmente all’art. 2, 3, 32 e 51 della nostra Costituzione – trovano difficilissima applicazione. Di esempi ne vediamo ogni giorno in relazione alle discriminazioni delle donne, dei diversamente abili, delle bambine, e dei bambini.
Nel caso del grande affare moderno dell’utero in affitto, esiste una dilatazione egocentrica di un presunto diritto di essere madre o padre ad ogni costo, che comprime quello legittimo di bambini acquistati come oggetti, e di madri usate e poi scansate come un rifiuto paraumano.
L’ostinazione con cui certi esseri si impegnano a voler possedere un altro essere umano, nella forma di bambino, ha mosso interessi in vari campi, tanto elevati che gli ostacoli al raggiungimento dell’egoistico obiettivo sono stati ben presto rimossi. Gli affari edificano lobbies che condizionano le istituzioni per vincere normative verso intenzioni affaristiche che aprono percorsi di scopo. In questo caso il varco è in direzione di lidi e terre in cui i bambini si comprano e le donne partorienti valgono meno di zero. Considerate solo incubatori a pagamento, sarebbero le madri “portanti” dei nascituri, ma i figli non le conosceranno, poichè i bambini-oggetto subiranno anch’essi la compressione dei loro diritti, di cui non avranno percezione che in età adulta.
Negli Stati Uniti sono circa duemila le gravidanze in affitto portate a termine ogni anno, acquisite da eterosessuali, o coppie gay, o uomini single. Affittare un utero costa negli Usa fino a 120 mila euro; alcune decine di migliaia di euro costa invece nell’Est d’Europa, e via via sempre meno dove c’è povertà, fino ai prezzi stracciati di Asia e Grecia.
E’ notoria la perfetta organizzazione di voli speciali dal Nepal ad Israele dove è consentito importare neonati, figli di “madri-contenitore” nepalesi, comprati in zone terremotate da coppie omosessuali. Ma attenzione il volo e l’accoglienza in Israele sono concessi solo ai bambini neonati ed alle madri gravide, per il tempo occorrente a partorire e portare a termine la consegna del bambino. Questo avviene nella terra nepalese del post-terremoto, tanto che tali luoghi cominciano ad essere considerati una sorta di paradiso-mercato dell’utero in affitto. Data l’enorme povertà della popolazione, le donne ridotte alla fame vendono il proprio utero per qualche migliaio di euro, aprendo giocoforza il mercato alla “maternità surrogata low cost”.
Il contrappeso ai supposti diritti ad essere genitore a qualsiasi costo è un pesantissimo piatto della bilancia, ricolmo di donne usate e mercificate; di bambini-oggetto (ignari e senza tutele identitarie specifiche) di cui sapremo cosa penseranno tra vent’anni. Si chiederanno il senso del loro status “sintetico” ? Vorranno sapere che cosa ne è stato delle madri che li hanno nutriti nel loro grembo? Le cercheranno? Saranno forse loro ad occuparsi di queste donne che per il contesto sociale che le ha sfruttate non esistono?
Vedremo gli esiti futuri. Ma da subito l’inerzia del contesto civile e istituzionale non è ammissibile. (w.m)
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Utero in Affitto – Enrica Perucchietti – Libro – Il Giardino dei Libri
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