il pittore di Fabrizio De André e Francesco Guccini

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 CARNEVALI

Il luogo d’incontro con il Maestro Maurizio Carnevali per l’intervista è lo studio della Galleria d’Arte da lui diretta a Lamezia Terme.

Quali sono le tappe fondamentali del suo percorso artistico?
Sono stato studente del liceo artistico a Reggio Calabria sul finire degli anni ’60, dopo di che, ho trascorso un breve periodo trascorso in Francia, a Parigi, nel 1968-1969, facendo il facchino ai mercati generali. Abitavo lì vicino, la mattina mi alzavo molto presto e andavo a scaricare la frutta e la verdura. Era un lavoro comodo anche se sacrificante perché alle 10.00 del mattino ero libero e potevo andare al Museo del Jeu de Paume (che allora ancora esisteva) e al Louvre dove restavo a studiare le cose bellissime esposte. Sono rimasto a Parigi poco più d’un anno e ho avuto l’opportunità di incrociare Picasso.
Rientrato in Italia, c’è stato il mio primo matrimonio, ho trascorso sei mesi in Sicilia in occasione del terremoto del Belice come volontario: questi episodi hanno segnato la mia carriera. Solo dopo mi sono iscritto all’Accademia delle Belle Arti, ma è stata un’esperienza fugace poiché mi sembrava fallimentare, non credevo in quella scuola e non ho completato gli studi. In un primo momento, sono stato allievo, quando facevo pittura, di Domenico Cantatore; poi ho seguito la scultura per un anno con Francesco Messina. L’anno successivo ho avvertito la necessità di cambiare e sono stato con Luciano Minguzzi. Almeno allora ancora le scuole funzionavano proprio perché c’erano quei grandi Maestri, ma non ci sono possibilità per i giovani di apprendere lì la via dell’arte.
Ho viaggiato per l’Europa. Però, avendo già un figlio, ho dovuto adeguarmi alle nuove esigenze e sono ritornato in Calabria dalla Lombardia, dove facevo Brera e lavoravo All’inizio il mio rientro non è stato un moto di nostalgia ma un’impellenza di natura famigliare. Però, poi, una volta tornato in Calabria, ho voluto restarci perché sono molto caparbio. Erano gli anni settanta, maturi anni settanta, e sfidare la vita pretendendo di fare il lavoro che faccio, facendolo in Calabria (cosa che non è stata facile), è una delle poche cose nelle quali mi pare di aver vinto nella vita. Certamente con un sacrificio diverso rispetto a chi abita in una grande città e ha intorno a sé una serie di cose che promuovono queste attività. Mi considero fortunato e vincente. Mi sono fatto forza da solo dicendomi che se mi fosse andata male avrei comunque fatto un lavoro inerente e che si vive una volta sola: è assurdo vivere in un modo che non si ritiene congeniale

Dove ha insegnato?
Ho cominciato al Nord e poi ho continuato in Calabria.

L’anno scorso ho avuto l’opportunità di visitare la mostra dedicata a San Francesco di Paola.
Era una mostra già pensata e sviluppata nel 1993 perché dovevo portarla in America ma così non fu perché non mi piacque la condizione in cui sarebbe stata esposta: la sede era la piccola Italia, non l’America. La mostra è stata presentata nel convento dei Frati Passionisti di Fuscaldo e poi a Paola.

Come mai questo soggetto?
I mie sono di Cosenza, sono cresciuto con la presenza prorompente di San Francesco che è però anche una figura affascinante: è un difensore del popolo calabrese, è un personaggio forte, un uomo straordinario che ho amato al di là di quella che può essere la mia posizione religiosa.

Quali sono i temi ai quali si ispira?
Traggo ispirazione soprattutto dalla mitologia che è una fonte inesauribile perché questa terra è intrisa di questa realtà. Mi piace molto la natura, l’amo al punto da non rappresentarla. Oggi questa mostra mi sconfessa poiché è la prima volta che faccio una mostra dedicata al paesaggio, non è un tema che amo in pittura perché lo amo in natura di cui ho profondo rispetto.

E la scultura?
Mi occupo di scultura, ma soprattutto monumentale.

Mi parla del progetto di “Stanze di vita quotidiana”, omaggio a Francesco Guccini?
E’ una mostra che ho organizzato con Giovanni Marziano, pittore e Peppino Sala, fotografo nel Complesso Monumentale del San Giovanni a Catanzaro. Dovevamo portarla anche fuori dell’Italia ma i pessimi rapporti con l’Amministrazione regionale ci hanno tagliato le gambe.

Com’è il rapporto tra pittura e la musica?
Precedente a questa esperienza, avevo fatto una mostra – da solo – dedicata a Fabrizio De André.

Sa suonare?
No, ma adoro De André forse di più che Guccini. Come dice Cotroneo, è la colonna sonora della nostra vita. Proprio in questo momento si sta realizzando un film su di lui in America. Ascoltandolo e sovrapponendosi alla musica le notizie della sua morte alla radio, ho sentito la necessità di farne un ritratto sul filo della memoria. Però a quel lavoro ne seguirono altri, tanto che avevo raggiunto un insieme di settanta opere nel giro di un anno di lavoro. A quel punto, ricorreva già il primo anniversario della morte del cantante e mi sono messo in contatto con Dori Grezzi a Genova. Era stato già preventivato un concerto di Paolo Conte per commemorarlo e la mia mostra fu prenotata per l’anno successivo.
Ho ricucito tutte quelle sensazioni suscitate da De André sul diverso personaggio di Guccini. Non è un caso che io non abbia scelto solo due cantanti, non fanno solo musica ma anche poesia.

Autogrill

Carnevali2 - MAURIZIO 
 CARNEVALI

La ragazza dietro al banco mescolava birra chiara e Seven-up,
e il sorriso da fossette e denti era da pubblicità,
come i visi alle pareti di quel piccolo autogrill,
mentre i sogni miei segreti li rombavano via i TIR…

Bella, d’una sua bellezza acerba, bionda senza averne l’aria,
quasi triste, come i fiori e l’ erba di scarpata ferroviaria,
il silenzio era scalfito solo dalle mie chimere
che tracciavo con un dito dentro ai cerchi del bicchiere…

Basso il sole all’ orizzonte colorava la vetrina
e stampava lampi e impronte sulla pompa da benzina,
lei specchiò alla soda-fountain quel suo viso da bambina
ed io…. sentivo un’infelicità vicina…

Vergognandomi, ma solo un poco appena, misi un disco nel juke-box
per sentirmi quasi in una scena di un film vecchio della Fox,
ma per non gettarle in faccia qualche inutile cliché
picchiettavo un indù in latta di una scatola di té…

Ma nel gioco avrei dovuto dirle: “Senti, senti io ti vorrei parlare…”,
poi prendendo la sua mano sopra al banco: “Non so come cominciare:
non la vedi, non la tocchi oggi la malinconia?
Non lasciamo che trabocchi: vieni, andiamo, andiamo via.”

Terminò in un cigolio il mio disco d’ atmosfera,
si sentì uno sgocciolio in quell’ aria al neon e pesa,
sovrastò l’ acciottolio quella mia frase sospesa,
“ed io…”, ma poi arrivò una coppia di sorpresa…

E in un attimo, ma come accade spesso, cambiò il volto d’ ogni cosa,
cancellarono di colpo ogni riflesso le tendine in nylon rosa,
mi chiamò la strada bianca, “Quant’è?” chiesi, e la pagai,
le lasciai un nickel di mancia, presi il resto e me ne andai…

Fausta Genziana Le Piane

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