medea - MEDEA NON HA UCCISO NESSUNO
Christa Wolf a Francoforte nel 1999

Pochi giorni fa la tragica notizia di una madre che ha ucciso i suoi figli. Fioccano quindi i commenti autorevoli e gli articoli a sensazione, com’è ormai tipico nella gestione dell’informazione in occidente. Si diffondono soprattutto le parole di Massimo Recalcati e di Concita De Gregorio, che riportano in continuazione il nome di Medea, la donna assassina dei figli per antonomasia.
Peccato però che Medea non abbia ucciso nessuno.
E’ stata Christa Wolf, nel lavoro preparatorio per il suo romanzo Medea. Voci ad aver affrontato un periodo di studi necessario per approfondire il mito della donna assassina dei figli, e a scoprire che quel mito è nato in un preciso momento, per determinate scelte politiche, e per volere di un uomo: Euripide. E’ stata lei ad aver diffuso la notizia di una diversa e più autentica rilettura di quel mito al grande pubblico dei non specialisti.
Che Euripide avesse manipolato la vicenda per assolvere gli abitanti di Corinto – colpevoli di aver massacrato i figli di Medea – emerge anche dalla storiografia antica, onorario compreso: quindici talenti d’argento, ricorda Robert Graves, sarebbero stati versati al drammaturgo per questa sorta di disinvolta cosmesi di stato, utile per presentare al meglio Corinto sulla scena del teatro greco durante le feste di Dioniso. Gli elementi di questa mistificazione ai danni di Medea erano quindi noti agli specialisti. Il merito della Wolf sta nell’averli dissepolti interrogandosi nel contempo su di un tratto che la scrittrice […] definisce ricorrente nella storia dell’uomo: la tendenza, soprattutto nei momenti di crisi a cercare un capro espiatorio, a caricare di segni negativi una determinata figura – spesso femminile, si chiami essa Cassandra o «strega» destinata al rogo – per destituirla di ogni autorevolezza.
La vera storia di Medea è più antica, e la versione euripidea ne ha cancellato il ricordo. Per fortuna, non tutte le tracce.
Ripercorrendo a ritroso i variegati sentieri del mito fino alle fonti precedenti alla versione euripidea, la scrittrice Wolf rintraccia una figura diversa: una donna travagliata sì dall’amore, ma ancor più dall’incapacità degli abitanti di Corinto di integrare una cultura come quella della Colchide, per sua natura non incline alla violenza. Non un’infanticida, dunque, al contrario una donna forte e generosa, depositaria di un remoto sapere del corpo e della terra, che una società intollerante emargina e annienta negli affetti fino a lapidarle i figli.
L’uso delle figure mitologiche è noto, soprattutto se le si usa sui giornali. Si riempiono le proprie parole di un’autorevolezza antica, che viene da un passato così lontano – ma così importante e legato a noi: i Greci – che nessuno può pensare a una manipolazione, a un uso strumentale: il mito è vero per forza, dice qualcosa di innato e di inevitabile perché è saggezza di millenni tramandata da uomini e culture diverse. E’ vero proprio perché è misterioso, lontano, inevitabile e sempre da realizzare di nuovo.
E invece, non è così.
Nel caso di Medea, il motivo per cui quasi tutti se la ricordano – lei uccide i propri figli per l’odio nei confronti del marito – è una balla inventata per motivi politici. E non ci vuole molto per saperlo, è una cosa nota da anni, basterebbe documentarsi. Le parole che ho citato sono di Anna Chiarloni, nella Postfazione al romanzo edito da edizioni e/o; anche in rete è possibile trovare un suo scritto che racconta la vicenda. Qui ci sono le parole di Christa Wolf; e poi si può cercare in molte biblioteche il libro di Christa Wolf, L’altra Medea, trad. A. Raja, Roma, Edizioni e/o, 1999, dove c’è tutto il materiale che serve. A volerlo usare.
Ecco, questo di Medea è uno dei tanti esempi di una storia che cominciamo a raccontare (e non siamo soli); una storia che Recalcati, De Gregorio e tanti altri non vogliono proprio sentire. Fa niente, noi abbiamo pazienza e ironia per tutti. Lorenzo Gasparrini

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