Letizia LanzaStudio Editoriale Gordini, Padova 2007
di Claudio Cazzola
«Ossia a dire, un rapporto – assoluto – di amore». Non stupisca il benevolo lettore della collocazione incipitaria riservata all’ultimo enunciato del presente volume (p. 195): non solo contiene il dolce segreto di tutto il contenuto, ma codesta frase ben caratterizza la persona dell’Autrice, la cui spinta a scrivere viene regolarmente, ogni volta, mossa da una genuina fede nella parola comunicata e condivisa. Basti scorrere, nell’Indice, i titoli dei cinque capitoli, e vediamo dapprima Arcane insidie (pp. 11-64), poi Gorgoniche visioni (pp. 65-123), a seguire Voci dal delirio (pp. 125-151), e – nella seconda sezione – Abitare la morte (pp. 155-170), per chiudere con La vita altra (pp. 171-195): ebbene, non è questo forse l’itinerario della nostra esistenza di uomini, visto che siamo sempre alle prese con i medesimi abissi della mente pur nello scorrere inesorabile dei secoli (e dei millenni)?
Di questo impegnativo fardello si fa carico l’Autrice anche in questa sua recente fatica, regalando – è il caso di dirlo – ad amici e ignoti un vero e proprio viatico.
Il saggio di apertura è dedicato alla figura di Sylvia Plath, di cui viene ricostruita, con una finezza esemplare, il mondo interiore attraversato da lancinanti esperienze puntellate di sconfitte fino alla soppressione di sé a soli trent’anni di età. Il complesso intrico dei sentimenti segreti della giovane intellettuale risale pian piano alla luce della mente del lettore in maniera sempre più nitida, perché si può contare su una messe efficace e per quantità e per qualità di informazioni anche minime, ma utilissime soprattutto per chi non può vantare una vera conoscenza dell’argomento e del relativo contesto storico (quanto, quanto sono da benedirsi le note a pie’ di pagina: te le puoi compulsare quando vuoi, quasi un libro nel libro!). Questo primo percorso biografico costituisce una delle pietre angolari del quadrilatero che sorregge l’impalcatura architettonica del volume, che vede nei rimanenti angoli altrettante figure femminili esemplari proprio nella loro diversità, da Camille Claudel (Voci dal delirio) a María Zambrano (La vita altra) passando per Marosia Castaldi (Abitare la morte): testimonianze polifoniche di una militanza autenticamente virile dentro la trincea del male di vivere.
Procedendo in tal modo, viene isolato a bella posta il saggio dedicato alla figura della Gorgone (pp. 65-123), intanto perché più familiare all’estensore di queste righe – da un lato –, e soprattutto perché in esso si squaderna (verbo dantesco quanto mai appropriato) la potenza della (con)formazione classica dell’Autrice. Letizia Lanza è insegnante: se insegnare significa, come da etimologia, “mettere un segno sopra”, ebbene, proprio di insegnanti così la scuola ha bisogno: non basta possedere un repertorio, anche illimitato, di nozioni e di regole, se non si è in grado – e spesso non si vuole farlo – di condividere con gli altri il proprio sapere – siano essi gli allievi, i colleghi, i membri della comunità micro o macro che sia; e condividere significa rischiare in prima persona, chiedendo espressamente il dialogo, il confronto, la critica perché no?, fatto sempre salvo il rispetto reciproco salvifico. Ne dà continua prova l’Autrice, soprattutto nelle note (ancora!), là dove non censura alcuna informazione bibliografica, sottoponendola viceversa ad una disamina scientificamente corretta (vedi, per esempio, le note 14 e 15 alle pp. 70-71, l’una specchio rovesciato dell’altra); la cultura classica in tal modo rifugge dalla sterile erudizione autoconsolatoria tipica di una ben nota tradizione retorica, per trasformarsi in lievito di idee, di curiosità intellettuali, di crescita interiore per il lettore.
E qui, al termine di queste pur sommarie osservazioni, ben si colloca l’augurio finale della Premessa: L’allegria dunque è nella speranza (possibile?) di un perpetuo ritorno “universale” (p. 7). Che è una intuizione ‘classica’ quant’altre mai.
Commenti