Una nuova, massiccia, mobilitazione ha occupato le vie di Città del Messico e delle altre principali città del paese lo scorso 3 agosto. Si è trattato di una manifestazione degli insegnanti della CNTE Coordinadora Nacional de Trabajadores de la Educación, da mesi in lotta contro la riforma educativa del governo di Enrique Peña Nieto. Marcatamente neoliberista, il governo di Peña Nieto, nell’ambito delle sue “riforme strutturali” che hanno già coinvolto tra gli altri i settori energetico e delle telecomunicazioni, non poteva esimersi dal mettere le mani su un altro settore strategico come quello educativo.
La riforma educativa di Peña Nieto era in gestazione già dal 2013, ma solo quest’anno ne è stata accelerata l’attuazione. La riforma, tra le altre cose, prevede nuovi criteri per la selezione del corpo docente ed una maggiore autonomia degli istituti. Tale autonomia va letta nell’ottica di ulteriori tagli all’istruzione, in un paese in cui le differenze tra scuole pubbliche e private sono già abissali, con istituti pubblici che nelle zone più povere del paese restano completamente abbandonati a sé stessi ed alla buona volontà dei e delle maestr@s. Altro punto cruciale di discordia è quello del processo di valutazione dei maestri che, colpiti nel vivo, lo ritengono esclusivamente uno strumento autoritario di controllo del loro operato. A questo proposito va ricordato come in Messico il potere governativo non veda di buon occhio un certo tipo di orientamento pedagogico: molti degli insegnanti che aderiscono alla CNTE, ed in particolare alla sua combattiva sezione 22, sono ispirati nel loro operato dai principi dell’educazione popolare, da Freire e dalla pedagogia degli oppressi. Quanto accaduto nel 2014 alla scuola normale rurale di Ayotzinapa, 43 studenti desaparecidos nel nulla senza ancora nessun colpevole, va letto in quest’ottica repressiva nei confronti di un certo tipo di educazione. Ad Ayotzinapa infatti, così come in altre scuole rurali, gli studenti provengono dalle più basse classi sociali e si preparano a diventare maestri elementari nelle zone più svantaggiate del paese. Il fatto che le classi meno abbienti possano accedere ad un’educazione di qualità e politicamente orientata è visto dal governo messicano come una minaccia. Meglio dunque attuare una riforma educativa mascherando gli intenti repressivi e di controllo sotto una patina di equità e modernità, meglio far credere all’opinione pubblica che la valutazione dei docenti è tutta nell’interesse degli studenti e delle loro famiglie, quando invece la verità è un’altra. L’autoritarismo istituzionale si riverbera in un aspetto più di fondo: un’educazione standardizzata ed imposta dall’alto in un paese come il Messico è già di per sé problematica, vista la ricchezza di lingue, culture, popoli indigeni con cosmovisioni differenti, che invece secondo questa visione centralista devono essere assimilati ad un unico sapere ufficiale, impartito con metodi pedagogici tradizionali.
Di fronte alle legittime proteste del corpo docente, al quale presto si sono unite associazioni di genitori, universitari, movimenti sociali, zapatisti, semplici cittadini e cittadine che vedono in questa lotta la difesa di una visione della società più equa, la repressione del governo messicano è stata, come già in altri casi, brutale. I fatti di giugno avvenuti a Nochixtlán, San Pablo Huitzo e nella città di Oaxaca, tutte località situate nello stato di Oaxaca, parlano di otto morti ammazzati da proiettili sparati dalle forze dell’ordine, oltre a 22 desaparecidos, 45 feriti da proiettili sparati ad altezza uomo durante le manifestazioni, oltre ad un numero imprecisato di detenzioni arbitrarie. La lotta dei maestri, come accennato, si è poi estesa a vari altri stati, tra cui il contiguo Chiapas: anche qui la protesta è stata oggetto di ingiustificata repressione violenta da parte delle forze governative in chiara collaborazione con un gruppo di circa 300 civili armati, secondo quanto riportato da varie associazioni per i diritti umani.
Dopo 10 anni è di nuovo ad Oaxaca e attorno alla 22ma sezione del Sindacato Nazionale dei Lavoratori dell’Educazione che si mobilita il dissenso e, di conseguenza, la repressione da parte dello stato. Fu infatti nel 2006 che nacque una delle più importanti esperienza messicane a livello di movimenti, la APPO (Asamblea Popular de los Pueblos de Oaxaca). La APPO, assemblea popolare formata da oltre 300 organizzazioni sociali, si costituì attorno agli stessi insegnanti della sezione 22 della CNTE in lotta per chiedere le dimissioni del governatore dello stato. Anche allora la repressione da parte delle forze federali fu particolarmente dura. L’aspetto decisamente importante in tali vicende è soprattutto questa straordinaria capacità di mobilitazione, di unire molteplici lotte attorno alla volontà di creare esperienze politiche e sociali più inclusive e partecipate, autonome ed alternative rispetto al pensiero unico neoliberista.
Come ha scritto il noto intellettuale ed attivista Gustavo Esteva sulla Jornada, “Oaxaca sta bruciando. C’è una coscienza chiara del momento di pericolo. Per questo, da ogni suo angolo, oggi si fa appello al coraggio, a quello che esprime l’indignazione morale che condivide un numero crescente di persone, e a quello che significa valore, integrità, capacità di camminare con dignità e lucidità in questi tempi oscuri. La battaglia è appena cominciata”. La battaglia di Oaxaca chiama a raccolta tutti coloro capaci di convertire la propria indignazione nella capacità di agire per rivendicare e ribadire la propria e l’altrui dignità, in questo tempo in cui, in Messico e altrove, essa è messa costantemente in discussione (Michela Giovannini, 17 Agosto 2016).
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