L’idea di un’auto guidata da un computer sembra assai meno terrificante dei gesti inconsulti degli umani al volante
L’oggetto si trova sul bordo dell’autostrada e piano piano si offre, brillando, alla vista. È la carcassa di un animale investito? È una varietà strana di artemisia? No, aspetta, è… un pezzettone di polistirolo! “Il laser certamente ne aveva rilevato la presenza”, dice Chris Urmson, al volante della Prius che non sta guidando. Quando passiamo lì davanti prende nota dell’accaduto (Oer – Oggetto estraneo o rottame – sulla corsia uno), per aiutare la nostra auto computerizzata a capire cosa fosse lo strano relitto appena avvistato.
È lunedì, è mezzogiorno e noi siamo diretti a nord sulla California Highway 85, a bordo di un veicolo autonomo Google. Nell’ottobre 2010, quando il New York Times scrisse che Google aveva costruito una flotta di auto in grado di guidarsi da sole e che avevano già percorso, collettivamente, circa 140mila miglia di asfalto californiano, la notizia destò grande scalpore. Oggi le auto, con la loro batteria di laser che vortica sul tettuccio, sono una visione familiare nella Bay Area quanto lo sono i veicoli Street View, con le loro telecamere. In realtà i due modelli vengono spesso confusi, ed è questo, probabilmente, il motivo per cui, nel caso della nostra auto, le parole Self-driving car (auto che si guida da sola) sono state scritte sulla portiera.
Anthony Levandowski, allampanato e occhialuto responsabile del business del progetto di auto robotizzata di Google, è al posto del passeggero e tiene stretto un portatile con un adesivo da paraurti che dichiara: “L’altra mia macchina si guida da sola”. Urmson, con i modi tranquilli di un costruttore di robot che ha appena smontato un veicolo marziano nei deserti del Cile, occupa quello che solo nominalmente è il posto di guida.
L’ultima volta che ero salito su una macchina che si guida da sola, nel 2008, la Volkswagen Passat della Stanford University aveva percorso due isolati, chiusi al traffico, a 40 chilometri all’ora. Il suo successo più clamoroso era stato quello di essersi fermata allo stop, in un incrocio nel quale peraltro non stava passando nessuno. Oggi, a pochi anni di distanza, stiamo viaggiando a oltre 110 chilometri orari, senza alcun intervento umano, su una strada a scorrimento veloce piena di traffico. È una dimostrazione sbalorditiva di quanto si stia allargando, e con quale velocità, l’orizzonte delle possibilità. “Questa macchina può andare a 120 all’ora”, dice Urmson. “È in grado di tenere conto della presenza di pedoni e ciclisti. Interpreta i semafori. Può viaggiare in autostrada”. In breve, dopo un secolo in cui la guida è rimasta più o meno la stessa, negli ultimi cinque anni si è avuta una trasformazione radicale.
Google non è l’unica azienda ad aver messo su strada auto che vanno da sole. In realtà quasi tutti i produttori tradizionali stanno sviluppando i loro modelli autoguidati, e la Silicon Valley ha visto spuntare una miriade di laboratori di ricerca impegnati in questa sfida. L’anno scorso una Bmw è andata da sola, in autostrada, da Monaco a Ingolstadt (“ La patria dell’Audi”, come mi ha detto Dirk Rossberg di Bmw, quando ci siamo incontrati nella sede di Mountain View, in California). Audi ha spedito una vettura autonoma sui 4300 metri delle Montagne Rocciose; mentre Volkswagen, in collaborazione con Stanford, sta costruendo un modello evoluto di quella Passat del 2008. Al salone automobilistico di Tokyo, in novembre, Toyota ha mostrato la sua Prius Avos (acronimo di Automatic Vehicle Operation System) che può essere comandata a distanza. Alan Taub di General Motors prevede che le auto che si guidano da sole arriveranno sulle strade entro la fine del decennio. Perfino la rockstar Neil Young è della partita: ha chiesto a un costruttore di automi di rimodernare la sua Lincoln Continental del ’59 in modo da portarla a guidarsi da sola.
Mentre andiamo in giro con la nostra macchina Google, osservo lo svolgimento dell’azione sul monitor del computer montato sul lato passeggero del cruscotto. Qui si vede come la vettura stia interpretando il mondo circostante: le corsie, le auto, le velocità, le distanze, le rotte. Il rendering non è nulla di speciale, è pieno di reticolati squadrati che mi fanno venire in mente un classico dei videogame come Battlezone di Atari.
Ma il display è solo uno dei tanti dettagli geek: per cambiare corsia, per esempio, il conducente preme Shift e Left su una tastiera vicina al monitor. Eppure è assolutamente entusiasmante, dà un brivido quasi proibito, vedere come l’auto non solo traccia e calcola in tempo reale la miriade di movimenti dei veicoli vicini, ma riesce anche a prevedere dove questi andranno, come in una sorta di partita a scacchi ad alta velocità. Sullo schermo la vettura non fa che acquisire nuovi elementi, inserendoli in quadratini rossi, tracciando griglie ortogonali avanti e indietro. “Stiamo analizzando e prevedendo il mondo 20 volte al secondo”, mi spiega orgoglioso Levandowski.
Un’auto arriva veloce dalla rampa di immissione. Acceleriamo o rallentiamo? In momenti come questo i conducenti umani spesso hanno incertezze. La nostra macchina sceglie di rallentare, ma può riconsiderare questa decisione in base all’ingresso di nuovi dati: se, per esempio, l’auto che si sta immettendo frena bruscamente. All’improvviso ci troviamo di fianco un autobus . “Anche se puoi stare al centro della corsia, non significa che questa sia la rotta più sicura”, prosegue Levandowski. E l’auto si sposta un pochino a sinistra per distanziarsi dalla fiancata della corriera. “Guardate, non siamo in mezzo, ma non guidiamo neanche male come quello lì”, dice indicando un suv davanti a noi che sta a cavallo di due corsie.
Levandowski non ha torto. Ero un po’ nervoso quando Urmson ha tolto le mani dal volante e una voce metallica di donna ha annunciato tranquillamente: “Autodrive”. Ma dopo qualche minuto l’idea di una vettura guidata da un computer mi è sembrata assai meno terrificante dei gesti inconsulti e delle indecisioni degli umani al volante, che armeggiano con i loro BlackBerry e si fanno beffe del codice stradale; incluso il conducente zigzagante che in questo momento sta cercando di filmarci mentre ci sorpassa.
La nostra Prius comincia davvero a sembrarmi l’ideale platonico di guidatore, al cui confronto sfigurerebbe chiunque. Mi ritrovo a immaginare come il traffico scorrerebbe più liscio, se tutte le auto fossero come la nostra. Anche quando una strada a scorrimento veloce è affollata di macchine, la superficie coperta dalle vetture in realtà non supera il cinque per cento del totale. Se le auto fossero ipersensibili e ottimizzate da un punto di vista algoritmico, potresti farcene stare sull’asfalto molte di più. E poi ci sono i benefici in termini di sicurezza. Il traffico è la cosa più pericolosa, tra quelle che ci tocca affrontare nella vita di ogni giorno. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, ogni anno nel mondo muoiono per incidenti stradali 1,2 milioni di persone. E non sono morte per colpa di un’illuminazione insufficiente o di pedali difettosi: uno studio importante ha citato errori umani come causa certa o probabile nel 93 per cento degli incidenti.
Quando premo il pulsante dell’accensione della nuova Mercedes classe S parcheggiata davanti al centro di ricerca e sviluppo di Palo Alto, non vengo salutato da alcuna voce di computer. Questo non è un prototipo; è un modello di serie, di quelli che si trovano attualmente negli autosaloni. Ma quando avvio il motore con quel suo ruggito teutonico perfin troppo perfettamente modulato e innesto la marcia, faccio partire una serie invisibile di automazioni.
La mia guida, per esempio, viene costantemente monitorata dalla funzione Attention Assistance, che tiene sotto osservazione oltre 70 elementi – dai micromovimenti del volante al mio modo di usare gli indicatori di direzione – per scoprire eventuali segni di affaticamento del conducente. Johann Jungwirth, capo della ricerca e sviluppo, che è seduto accanto a me, annota con efficienza da venditore tutte le cose che l’auto fa per me. Quando una macchina che viaggia sulla corsia di fianco alla mia entra nel mio angolo cieco, si accende un triangolo rosso nello specchietto laterale, e se cerco di cambiare corsia l’icona lampeggia e fa biiip. Se debordo fuori dalla corsia, il volante brontola gentilmente. Il sistema Distronic Plus – il nome che Mercedes dà al controllo adattativo della velocità – mantiene una distanza di sicurezza costante, frenando automaticamente se l’auto che ci precede rallenta l’andatura e tirando su i finestrini. Perché questo ultimo passaggio? Dal sedile posteriore, Luca Delgrossi, direttore della ricerca sulla guida assistita presso la Mercedes di Palo Alto, mi spiega che è per via degli airbag: “Devi offrire loro una superficie per l’impatto”.
Si tratta, per farla breve, di un computer su ruote, furtivamente semiautonomo. “Ci sono decine di migliaia di processi che corrono in parallelo”, spiega Jungwirth. Una vettura come questa vanta oltre 60 ECU (Unità di Controllo Elettronico) che sovrintendono a tutto, dalla frenata automatica all’apertura del bagagliaio. La rivista di tecnologia IEEE Spectrum rileva come un’auto di lusso contenga 100 milioni di righe di codice informatico, più di quelle del nuovo Boeing 787 Dreamliner. E, come nel mondo dei telefonini o dei tablet, si stanno moltiplicando le cause legali sulla proprietà intellettuale, quella guerra dei brevetti che fino a poco tempo fa era una rarità nel mondo della produzione automobilistica.
Il sistema è efficiente, anche se un poco meccanicistico. Quando un’auto davanti a noi rallenta per svoltare, per esempio, la Mercedes non capisce che il veicolo tra breve sarà fuori dalla mia traiettoria, quindi freniamo in modo a mio parere eccessivo e poi acceleriamo di colpo. Il sistema di allarme in caso di uscita inavvertita dalla propria corsia non funziona se le strisce bianche sull’asfalto sono state cancellate dall’usura, cosa non infrequente sulle strade messe alla prova dal volume di traffico. E il radar non ama i tornanti. “Se una curva è a gomito”, dice Delgrossi, “il radar non riesce a seguire gli oggetti che hai davanti a te”.
Ecco perché Mercedes ha lavorato su un sistema che andasse al di là del radar: un sistema di stereo-video in 6-D, che tra breve sarà montato di serie sui modelli di punta della casa. La visione stereo non solo indica gli ostacoli potenziali, ma è in grado di identificarne la natura. È in grado di segnalare la presenza di pedoni e ciclisti molto più velocemente di quanto non faccia, in media, un essere umano al volante. È in grado di distinguere una macchina ferma da un bidone dell’immondizia. È capace di intuire pericoli potenziali che spesso sono oscurati dalla cecità della disattenzione, tipica degli esseri umani, quella che ci impedisce di notare anche ciò che abbiamo proprio sotto il naso. L’unico modo che abbiamo per insegnare all’automobile queste cose è… guidarla: allenare gli algoritmi bombardandoli di input, proprio come fa Google con le sue vetture.
Se li consideriamo nel loro insieme, questi sistemi automatizzati si avvicinano già all’autosufficienza. Ricky Hudi, il capo dello sviluppo elettrico ed elettronico di Audi, mi ha fatto notare che il sistema di controllo adattativo della velocità sulla A8 dispone di una funzione stop and go, per il traffico lento. “Tutto quel che devi fare è incrementare questo sistema con uno di riconoscimento di immagini e laser-scanning”, dice. “E a quel punto lì sarai molto vicino al poter mollare del tutto il volante”. E Mercedes sembra prossima alla realizzazione di un “assistente agli ingorghi stradali”, grazie al quale l’automobile non solo manterrà la distanza da quella davanti (come accade già oggi con i meccanismi di controllo adattativi della velocità) ma sarà anche in grado di sterzare da sola.
C’è solo una trappola. Me la spiega Ralf Herrtwich, capo della ricerca avanzata di Daimler: la legge attuale impone al guidatore di mantenere il controllo della vettura. “Oggi, se il conducente sterza, il gesto è considerato dalle autorità un chiaro indizio che la sua presenza sia operativa”, dice. E così un altro gruppo di sensori segnalerà la presenza delle mani sul volante. Herrtwich la chiama manovra controllata: devi tenere il volante mentre lo senti sgusciare sotto le dita.
Al di là della burocrazia esistono problemi legali di grande portata. Chi sarà responsabile dell’operato delle auto che si guideranno da sole: le aziende che le hanno prodotte o noi? E che cosa succederà, quando la polizia stradale fermerà una macchina autopilotata? Chi prenderà la multa? (22 maggio 2012 di Tom Vanderbilt )
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