E’ il dato che emerge dalle primarie dello scorso martedì. In campo democratico, in ogni sfida che ha visto in corsa almeno un candidato donna e un uomo, le prime hanno prevalso nel 69% dei casi; in campo repubblicano, nel 34%. Rashida Tlaib, Gretchen Whitmer e Sharice Davids tra i personaggi emergenti. Il presidente ha funzionato da catalizzatore e propulsore dell’impegno femminile e femminista in politica
di Roberto Festa
C’è un dato importante che emerge dalle primarie USA dello scorso martedì: la presenza sempre più massiccia di candidate donne. Con le primarie in Michigan, Missouri, Kansas e Washington, le donne candidate alla Camera il prossimo novembre saranno complessivamente 185 (il record precedente, nel 2016, era stato di 167 donne). Quattordici Stati americani devono ancora tenere le loro primarie, quindi il numero di candidate donne è probabilmente destinato ad aumentare. Delle 185 candidate, 143 sono democratiche. La tendenza riguarda anche le sfide per governatore: qui, al momento, ci sono 11 sfidanti di sesso femminile.
Questa ridefinizione della questione di genere appare in tutta la sua evidenza anche da un altro dato. In campo democratico, in ogni sfida che ha visto in corsa almeno un candidato donna e un uomo, le donne hanno prevalso nel 69% dei casi; in campo repubblicano, nel 34% (dati del Cook Political Report). La situazione al Senato non è così favorevole come alla Camera: al momento sono 13 le candidate donne (il record era stato raggiunto nel 2012, con 18 donne candidate). Il trend complessivo mostra comunque un deciso passo in avanti in termini di rappresentatività politica delle donne (che sono più della metà della popolazione, ma soltanto il 20% del Congresso).
Questi numeri possono essere interpretati in diversi modi. Da un lato, conta sicuramente l’effetto Trump. L’elezione del nuovo presidente ha sollevato resistenze, contestazioni, preoccupazione in buona parte dell’elettorato femminile. La Marcia delle Donne su Washington, a gennaio 2017, a poche ore dal giuramento di Trump, fu proprio la reazione a un presidente che, si temeva, avrebbe messo in discussione diritti acquisiti: l’aborto, la contraccezione, l’accesso al welfare.
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