Per l’80% ridurle è prioritario, ma la politica non ascolta. Negli Usa la rabbia ha contribuito alla vittoria di Donald Trump: e in Italia?
Di Luca Aterini
Negli ultimi 20 anni la disuguaglianza in Italia è cresciuta, più che in ogni altra nazione ricca al mondo. A ricordarlo è stato l’Istat, guardando alla dinamica dei redditi nostrali nel suo ultimo rapporto annuale, ed evidentemente non se ne sono accorti soltanto all’Istituto nazionale di statistica. Ieri Oxfam ha illustrato alla Camera dei deputati i risultati raccolti nel sondaggio La percezione della disuguaglianza in Italia, condotto dall’Istituto Demopolis: il 76% degli intervistati è convinto della mancanza di equità nella distribuzione dei redditi, e oltre il 60% individua nella concentrazione dei patrimoni e nelle opportunità di accesso al mondo del lavoro altri due ambiti in cui le disuguaglianze in Italia si manifestano con maggiore risalto.
«La crisi – spiega Pietro Vento, direttore dell’Istituto Demopolis – sembra aver determinato, nell’opinione pubblica italiana, una maggiore consapevolezza sull’importanza delle scelte in materia economica e fiscale. Per l’80% è oggi prioritaria e urgente l’attuazione di politiche volte a ridurre le crescenti disuguaglianze sociali ed economiche nel nostro Paese».
La domanda è: chi raccoglie dunque quest’istanza politica, che viene avanzata con forza dalla stragrande maggioranza della cittadinanza? Non l’attuale maggioranza di governo: «Per l’Italia di oggi –ha più volte dichiarato il premier Renzi– non conosco una ricetta migliore di abbassare le tasse e continuare con le riforme strutturali», eppure per qualche motivo per l’82% dei cittadini interpellati da Demopolis quello in vigore è un sistema fiscale iniquo (un’altra opinione confortata dai dati), e il 61% ritiene che le disuguaglianze siano aumentate negli ultimi 5 anni, mentre il 67% considera l’accesso ai servizi pubblici di base, come istruzione e sanità, garantito solo in parte e con livelli di qualità differenti.
«Oggi 62 paperoni possiedono la stessa ricchezza della metà più povera del mondo, vale a dire 3,6 miliardi di persone. In Italia – rincara la dose Roberto Barbieri, direttore generale Oxfam – l’1% più ricco è in possesso del 23,4% della ricchezza nazionale netta. Si tratta di una disuguaglianza preoccupante e insana, sia da un punto di vista economico, che da uno animato da considerazioni più etiche. Dall’indagine realizzata con Demopolis, emerge la netta percezione della disuguaglianza e delle dispari opportunità. La classe politica non può più permettersi di ritardare l’adozione di rimedi ambiziosi in materia di giustizia fiscale, contrastando gli abusi fiscali in Italia e a livello internazionale che alimentano la grande disuguaglianza dei nostri tempi».
Eppure per l’establishment politico nazionale questo dato di fatto non appare in testa all’agenda politica, aprendo un inquietante parallelo con le dinamiche che hanno appena portato Donald Trump a divenire il 45esimo presidente Usa. Non dare il giusto peso alla rabbia provocata in modo significativo dalla crescente disuguaglianza con alta probabilità ha profondamente influenzato la debacle di Hillary Clinton, che pure aveva un programma elettorale più a sinistra (e più verde) di quello dei propri omologhi italiani. Da questo punto di vista solo il candidato Bernie Sanders è parso in grado di incanalare la rabbia degli elettori in modo costruttivo, ma la sua candidatura è saltata prima dell’appuntamento decisivo e con i “se” non si fa la storia.
Nel mentre anche il nostro Paese, come l’Europa, somiglia sempre più a una pentola a pressione dove il tappo non aspetta altro che saltare. Gli Usa come sempre ci hanno preceduto, presentando con Trump «un fatto politico nuovo», come ha avuto la lucidità di commentare Matteo Renzi. Un «fatto politico» dalla rilevanza internazionale che ostacola non poco la risoluzione delle grandi sfide globali che abbiamo di fronte: cambiamento climatico, scarsità delle risorse naturali, inquinamento, stagnazione economica e, appunto, disuguaglianza. Rispetto agli anni ’90 oggi soffrono la fame 216 milioni di persone in meno (anche se ne rimangono ancora 795 milioni), ma al contempo povertà e disuguaglianza sono cresciute in paesi come l’Italia, dove i cittadini vedono una piccolissima élite sfacciatamente più ricca.
Questa percezione sta dilaniando l’Occidente, e oggi più che mai l’unica alternativa plausibile è quella di uno sviluppo sostenibile che si muova –per definizione– contemporaneamente lungo tre pilastri fondamentali: ambiente, società ed economia. La sostenibilità è a sinistra, ma rischiamo di accorgercene troppo tardi. [11 novembre 2016]
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