“Un uomo si distingue per i suoi “no””.
Ovviamente chi ha fatto quest’affermazione non si riferisce al “no” capriccioso, infantile detto per dispetto. Si riferisce al “no” nei confronti di situazioni perniciose, torbide, ambigue, non chiare, anche se il suo “no” comporta antipatie, emarginazione, perdite di “favori”, mancate “amicizie”.
I “no” famosi sono quelli degli eroi della storia, dell’arte, del pensiero, della scienza.
Ostinatamente, testardamente questi eroi dissero “no” ad un certo andazzo delle cose e quando i tempi furono maturi ci si accorse che avevano ragione.
Nel migliore dei casi essi dovevano giustificare il loro comportamento, le loro affermazioni, il loro stile di vita. Nel peggiore dei casi finivano morti ammazzati.
Anche ai comuni mortali capita di dover dire dei costosissimi “no”; ma che sollievo per la coscienza!
Per esemplificare la questione si può presentare un caso concreto: il dirigente accusato di circuire una dipendente chiede il soccorso degli altri dipendenti e li richiama alla solidarietà nei suoi confronti, ma “contro” l’altra parte in causa.
In questo caso il “no” è dimostrazione di forza morale, ma la conseguenza, nel migliore dei casi, è l’estenuante serie di giustificazioni che le “pecore nere” devono fornire a chi ha pronunciato un amorevole “si” di solidarietà col “birichino”.
Il male è noioso, irritante, ma soprattutto fa perdere tempo.
Antonia Chimenti
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