Nelle sale l’ultima pellicola di Marco Tullio Giordana, sceneggiata da Cristiana Mainardi ed interpretata da Cristiana Capotondi

ndd - “NOME 
 DI DONNA”: UN FILM PER DIRE "BASTA" ALLE MOLESTIE 
 SESSUALI SUI LUOGHI DI LAVORO

di Elisabetta Colla
Ci sono film utili e necessari, come ‘Nome di Donna’, meglio ancora se ben confezionati come nel caso dell’ultima fatica di Marco Tullio Giordana, un autore da sempre impegnato su temi civili e sociali (ricordiamo, fra gli altri, ‘I cento passi’ e ‘La meglio gioventù’): si tratta di un’opera che racconta, in tono sommesso ma non per questo senza colpire nel segno, un’ ‘ordinaria’ storia di molestie sessuali, perpetrate da un dirigente ricco, potente e protetto, ai danni di sue sottoposte, vulnerabili, socialmente deboli e ricattabili. Finché un giorno, finalmente, una di loro si oppone ma a caro, carissimo prezzo.
“Nome di donna” -afferma la sceneggiatrice- è nato tre anni fa dal desiderio di guardare alla condizione femminile nel mondo del lavoro, escludendo le discriminazioni più macroscopiche, come la disparità salariale, per studiare invece quelle più sottili -e dunque subdole- assunte come una sorta di (sotto)cultura diffusa. Quel senso comune, quell’ovvietà, capace di insinuarsi nel quotidiano, di diventare parte integrante del modo di vivere e di lavorare, di rapportarsi agli altri Credo che ogni donna possa comprendere esattamente queste parole, e -per fortuna- anche molti uomini”.
Nina, la protagonista del film (una misurata Cristiana Capotondi, attrice che di recente ha prestato il suo bel volto alla TV per interpretare l’avvocata Lucia Annibali, fatta sfigurare dall’ex-fidanzato) è una madre single, disoccupata da tempo, con una figlia, e decide di trasferirsi da Milano in un piccolo paese della Lombardia, quando un prete amico di famiglia le trova un lavoro come inserviente tuttofare in una villa-residenza per anziani facoltosi. In questa magnifica magione, la giovane donna inizia a ricostruire la propria autostima grazie al lavoro ed al buon salario, finché un giorno viene convocata dal viscido direttore dottor Torri (un perfetto Valerio Binasco che riesce a rendersi odioso già dai primi fotogrammi) che senza tanti complimenti ‘ci prova’ e di brutto. Ma lei non ci sta, lo spintona e fugge. Allo sgomento ed all’umiliazione, seguirà la rabbia perché le colleghe-amiche inservienti, tutte a conoscenza del ‘vizietto’ del capo e vittime anch’esse, lo nascondono da anni, conniventi, per paura di perdere il posto, ricattate perché straniere, povere e senza appoggi. Inizia così un braccio di ferro tra Nina, una sindacalista CGIL che la spinge a denunciare i fatti, i vertici dell’azienda ed il prete-manager della residenza -il simpatico attore Bebo Storti qui in una parte insolita ed esecrabile- anche lui connivente e sostenitore del lupo cattivo (come purtroppo insegna la vita vera, anche il clero è spesso in prima linea in fatti scabrosi).

Continua a leggere: Nome di Donna”: un film per dire ‘basta’ alle molestie sessuali sui luoghi di lavoro

Categorized in: