di Dora Albanese

“Non dire madre”, s’intitola il primo romanzo – racconto di Dora Albanese. Ma forse potrebbe intitolarsi “Di tante madri”, perché nella vicenda della protagonista, giovanissima mamma – un po’ fiera e un po’ smarrita – di diciannove anni, rivivono tante madri del Sud e di ogni luogo. Fatiche e gioie, dolori ed amori di generazioni di donne, nuove ed antiche insieme, sono, con la giovanissima neo mamma, le protagoniste del libro, come in un coro nel quale spicca la prima voce solista. Qui proponiamo una breve recensione di Margi De Filpo.
Eleonora Bellini

dora - NON 
 DIRE MADRE
Dora Albanese, “Non dire madre, Casa editrice Hacca 2009.
Recensione di Margi De Filpo

“Una madre l’aiuto lo dà, non lo offre”, scrive Dora Albanese nelle prime pagine del suo libro, e poche parole come un inciso imprimono significato a tutto il resto. Da una Matera periferica e dimenticata a una Roma estranea in cui si scambia l’accidia per “mal di vivere”. Si apre nelle corsie di un ospedale questo libro, con una giovanissima madre colta nel momento del parto, con le sue paure, la sua rabbia, il senso materno che non arriva e, come prezzo da pagare, il bisogno di essere solo figlia ancora per un po’. In ogni racconto, il tracciato invisibile del percorso che ogni donna fa per diventare madre, con la solitudine, l’incomunicabilità, i primi amori, il lavoro, i ricordi, gli affetti.
Vero protagonista è il Sud e la sua gente pronta a giudicare e a condannare senza sapere.
L’ombra di genitori che assolvono e amano nonostante tutto, per supposta bontà, per un merito che di certo non ci appartiene.
Una nuova famiglia come soluzione alla vecchia perché “la coppia è una cosa seria una vera scommessa”, dunque, il perdono e la necessità di provare ancora una volta a credere in qualcosa.
Emerge il bisogno di essere perdonati, capiti e assolti da un Sud in cui si finge anche nei sentimenti, in cui le parole degli altri diventano pietra… “La lingua non tiene l’osso ma frange l’osso”.
Giovani donne fuggite al passato, in una Roma a dimensione di paese, che nasconde, protegge, dimentica e ingoia tutti senza fare domande.
La pigra ricerca di una identità slegata dalle proprie origini che si consuma nella paura di non avere abbastanza tempo, di non aver capito abbastanza cose, di non saper essere un volto senza identità. La vita vissuta come un romanzo da consumare in capitoli, per avere il controllo, per essere padrone delle proprie scelte “… capisco che è proprio quella fine quel gesto di sconfitta che gli dà un significato esatto… una giusta collocazione nel mio tempo”.
L’appiglio a cui aggrapparsi, Dora Albanese lo trova nelle parole di una nonna, nei racconti d’un dopoguerra sepolto nella polvere dei “sassi” . E’ un filo sottile, una continuità che passa da carne a carne, con l’incapacità di perdonarsi anche nell’atto di aver messo al mondo una vita, perché si è privato un altro dell’influenza sulla propria. E poche parole slegate dal racconto, che sopravvivono ai rosari e alla educazione impartita e ricevuta… “Non credo nella rassegnazione cristiana, credo solo nel senso di colpa – il mio.”
Margi De Filpo

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Dora Albanese è nata a Matera nel 1985. Ha pubblicato racconti ed articoli su riviste e quotidiani. Dal 2004 vive a Roma, dove studia antropogia. Questo è il suo primo libro.

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Margi de Filpo, autrice della recensione, è originaria di Viggianello (Pz), ma è nata a Roma , ove vive e lavora, nel 1982. Laureata in Scienze Politiche, ha pubblicato lo scorso anno il suo primo romanzo “Nero di lacrime e luoghi comuni”, Ed.Palom

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