di Valentina Sonzini
Riprendiamoci la notte è lo slogan con il quale, il 28 novembre 1976 in una manifestazione romana, le donne ribadirono la necessità e il desiderio di essere padrone di sé stesse e del proprio tempo.
Leggendo l’articolo siglato da Laurie Penny – L’anno nuovo delle donne (Internazionale, 11/17 gennaio 2013, n°982, A. 20) – si ha quasi l’impressione che i tempi siano maturi per gridare nuovamente lo slogan, riappropriandoci di un tempo che non sembra più parlare con voce di donna.
Penny ci ricorda che il 2012 è stato un anno buono per “i paladini dello stupro” e per coloro che continuano a sostenere che la donna implicata in un gesto di violenza, in un certo modo, se la sia cercata.
Come la giornalista britannica, anch’io penso che sia gli stupri, sia i sostenitori della connivente partecipazione, non facciano più notizia. L’ho percepito con evidenza durante le giornate che hanno visto il parroco di San Terenzo di Lerici condannato pubblicamente per le frasi da lui scritte e affisse alla bacheca della sua chiesa. Sentivo che aveva poco senso postare su fb l’ennesimo grido di sconcerto, e mi rendevo progressivamente conto che la cosa non mi indignava poi così tanto.
Perché? Perché nella cultura misogina ci vivo tutti i giorni, come tutte le donne di questo Paese. E ormai capisco che più che sorprendersi per talune affermazioni, sarebbe il caso di condannare quotidianamente e pubblicamente ogni gesto e atto – la cultura – che ci fa dire ad amiche e sorelle e madri “fai attenzione quando rincaserai sta sera”, oppure “non tornare da sola troppo tardi”. Sono queste frasi che ci rendono complici del clima da sorvegliate speciali in cui ci costringiamo a vivere, anche oltre ogni evidenza.
In questo sottobosco culturale umiliante perdiamo il senso della nostra libertà di movimento. Non riusciamo più neppure a capire che, se da una parte doverosamente condanniamo la violenza, il femminicidio, dall’altra noi stesse ci autoproteggiamo, nascondendoci il più possibile agli occhi dei maschi, pur di non essere coinvolte.
Questa è la nostra responsabilità: “una vita vissuta nel terrore della violenza sessuale, una vita in cui non puoi correre i rischi che corrono gli uomini senza aspettarti di essere aggredita o, peggio ancora, aggredita e accusata di essertela cercata, non è una vita libera”. Lo stupro, la violenza, l’umiliazione sessuale, non devono per forza far parte della vita di ognuna di noi. Non può più essere un destino dato.
La scelta adesso, ancora una volta, spetta a noi: o decidiamo di continuare a vivere una vita limitata, nella quale nessuna è al riparo dalla violenza; oppure cominciamo a reclamare con forza uno stato di cittadinanza piena che non ci releghi in fondo alle liste elettorali e in cima alle liste dei morti ammazzati.
Valentina Sonzini, Genova 21 gennaio 2013
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