(da l’OBIETTIVO, editoriale, settembre 2011)
di Alina Rizzi
Vi siete mai soffermati a calcolare quante donne vengono uccise in italia ogni anno? Che la notizia appaia o meno nel telegiornale della sera, quasi ogni giorno, una donna viene aggredita e uccisa da un uomo. E non un uomo misterioso, mai visto, il classico mostro (che in realtà non esiste, in quanto ha fattezze molto più comuni di quanto possiamo immaginare) o l’extracomunitario, lo zingaro, il diverso. Niente affatto. La stragrande maggioranza dei femminicidi in italia avviene per mano di un parente stretto: di solito il marito o il compagno, ma a volte anche il padre, spesso il difanzato.
Anni fa si parlava di raptus di follia, da cui scaturivano fatti di cronaca tremendi che si acuivano d’estate. Oggi è evidente che le cose stanno in un altro modo. Prima di tutto, il raptus non esiste, e questo velo confermerà qualunque psichiatra o criminologo. Esistono patologie non diagnosticate ma preesistenti, di cui a volte si ignorano o sottovalutano i sintomi. Ma nessuno può svegliarsi una mattina e di punto in bianco diventare un assassino. Questo è bene chiarirlo, non fosse altro per permetterci di guardarci allo specchio senza il timore di vederci trasformare inaspettatamente dal dottor Jackill a Mister Hide. Altra cosa, che sia estate o inverno ormai non fa più grande differenza. Non è il caldo che scombina la mente di un marito quando pugnala la moglie 20, 30 volte: è la precisa volontà di eliminare un problema. E se il problema ha nome e cognome e una sua storia, magari dei figli, come ogni essere umano, fa poca differenza per chi non sa trovare soluzioni alternative o neppure sa immaginare una vita diversa da quella che ha sempre vissuto. Non a caso la ragione più frequente di queste aggressioni mortali sono la gelosia e l’abbandono.
Siamo nel 2011, le donne fanno carriera, fanno figli a cinquant’anni, assumono posti di potere politico in alcuni stati ( l’Italia non conta, noi siamo arretrati più di un paese del terzo mondo in questo campo), ma ci sono una grande quantità di uomini che non possono sopportare l’idea di essere lasciati dalla propria moglie, compagna, fidanzata, convinvente. Si tratterà di un dolore intollerabile? Di un amore smisurato? Oppure si tratta di desiderio di possesso? Del bisogno malsano di poter avere l’altro così come si possiede un oggetto, un telefonino, un nuovo computer. E dell’incapacità di accettare l’idea che una donna non è una cosa, ma un essere umano e quando dice “basta, è finita” la sua decisione va rispettata nella maniera più assoluta. E quindi non si alzano le mani, non si danno botte, non si minaccia (il reato di stalking è stato proprio “inventato” per proteggere le donne, non gli uomini), né tanto meno si uccide.
Eppure è ciò che accade, in media un giorno sì e l’altro anche. Quella vecchia frase da film rosa anni cinquanta “se non sei mia non sarai di nessun’altro” non va confusa, mai, in nessun modo, con una dichiarazione d’amore, perché non lo è, ed è bene che una donna stia in guardia da simili dichiarazioni.
Il desiderio di possesso non è amore, ma fonda le sue radici nell’egoismo, nella mancanza di autostima, nell’insicurezza di tanti uomini che, frustrati da una vita insoddisfacente, scaricano tutta la propria rabbia repressa sull’unica persona che, presa alla sprovvista, neanche ci pensa a difendersi. La moglie diventa il capro espiatorio “perfetto” per tutta una serie di delusioni che magari neppure la riguardano, e la vittima più a portata di mano. Con le leggi che abbiamo nel nostro paese di può anche immaginare di farla franca e di scontare pochi anni di carcere per un crimine tanto efferrato. Ma ormai niente ci stupisce più. Tutto può accadere. Anche che un uomo tenti di ammazzare sua moglie con 30 colpi di forbice e che lei miracolosamente si salvi. E che quest’uomo si trovi una nuova compagna, e in un giorno di fine estate la riempia di coltellate raggiungendo il suo scopo: ucciderla, così’ da non dover sopportare l’affronto di poter essere tradito o lasciato. Ma quest’uomo non avrebbe già dovuto essere in carcere per il primo tentato omicidio? E adesso che l’omicidio gli è “riuscito” lo mettranno dietro le sbarre e butteranno la chiave oppure gli permetteranno, tra pochi anni, di tornare a cercarsi una compagna, su cui accanirsi per la terza volta con tutta la propria forza?
Alina Rizzi
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