I continui suicidi in India dove i contadini sono messi alla fame dalle multinazionali che con il sistema degli OGM li hanno resi dipendenti da loro (gli OGM sono sterili, non producono semi, quindi devi comprare per sempre le loro sementi!).
Questa gente un tempo riusciva a vivere del ricavato della loro agricoltura, mentre oggi non può più.
India, ogni 30 minuti un contadino si suicida
Ogm, 250mila suicidi tra gli agricoltori“Il mercato in mano alle multinazionali”
Un nuovo rapporto, intitolato “L’imperatore Ogm è nudo”, redatto da ben 20 organizzazioni internazionali e pubblicato da Navdanya International, fotografa con estrema chiarezza le conseguenze degli organismi geneticamente modificati. Tutte negative.
Quindici milioni di contadini sono ostaggio degli Ogm, e 250.000 agricoltori – ridotti sul lastrico – si sono tolti la vita negli ultimi anni. È l’agghiacciante denuncia lanciata dalla studiosa ed attivista indiana Vandana Shiva: il 70% del commercio globale di sementi è ormai controllato da appena tre grandi multinazionali, e gli organismi geneticamente modificati, che dovevano aumentare le produzioni e ridurre i pesticidi, stanno condizionando il sistema agricolo mondiale. Lo afferma senza mezzi termini un nuovo rapporto, intitolato “L’imperatore Ogm è nudo”, redatto da ben 20 organizzazioni internazionali e pubblicato da Navdanya International, associazione con sede a Firenze. Presentati sin dall’inizio come potenziale soluzione alle crisi alimentari globali, all’erosione dei suoli e all’uso di sostanze chimiche in agricoltura, oggi gli Ogm coprono oltre un miliardo e mezzo di ettari di terreni in 29 diverse nazioni. Ma non sembrano aver mantenuto le promesse.
Tra le delusioni degli Ogm, la lotta contro i parassiti: le nuove colture hanno favorito la diffusione di specie nocive e ancora più pericolose. In Cina, dove il cotone Bt resistente agli insetti è largamente diffuso, i parassiti sono infatti aumentati di 12 volte dal 1997. Non solo, una ricerca del 2008 dell’International Journal of Biotechnology ha rivelato che tutti i benefici dovuti alla coltivazione di questo tipo di cotone erano stati annullati sia nella Repubblica Popolare che nella vicina India dal crescente uso di pesticidi, necessari in quantità sempre maggiori proprio per combattere questi nuovi “super-parassiti”. Stessa sorte per i coltivatori di soia gm in Brasile ed Argentina che, dalla conversione delle loro colture, hanno dovuto raddoppiare l’uso di erbicidi per disfarsi di super-weeds capaci di crescere anche di un centimetro al giorno (come l’erba infestante pigweed). E ciò senza neppure il vantaggio di avere coltivazioni più resistenti al sole o alla siccità.
Secondo The Gmo Emperor has no clothes. Global Citizens Report on the State of GMOs, gli Ogm hanno solamente portato poche multinazionali ad un inquietante strapotere. Basti pensare che le sole Monsanto, Dupont e Syngenta controllano oggi il 70% del commercio globale di sementi. Un fatto che permette ai tre colossi biotech di stabilire (ed alzare) i prezzi a loro piacimento. Ma che proprio per questo, secondo gli scienziati, sta avendo conseguenze devastanti su molti degli oltre 15 milioni di agricoltori diventati loro clienti.
In Africa, Sud America e soprattutto in India, i suicidi di contadini impossibilitati a sostenere i costi sempre più elevati dell’agricoltura intensiva imposta dagli organismi geneticamente modificati sono arrivati a livelli inaccettabili. Solo nel Paese asiatico, ricorda Vandana Shiva (che presiede Navdanya International), negli ultimi 15 anni le persone che si sono tolte la vita per questo motivo hanno superato le 250mila unità: quasi una ogni mezz’ora, dal 1996 ad oggi.
Oltre che gli effetti ambientali e sociali, gli studiosi temono conseguenze sulla salute, anche se ufficialmente non ancora dimostrate. Non solo nei Paesi “poveri”, ma anche negli Usa, che 15 anni fa lanciarono le coltivazioni gm: oggi gli Stati Uniti ne sono il primo produttore mondiale, con il 93% delle coltivazioni di soia, l’80% del cotone, il 62% della colza e il 95% della barbabietola da zucchero.
In Europa gli organismi geneticamente modificati non sono ancora penetrati come nel resto del mondo, ma manca poco: “L’Ue – spiega il rapporto – importa il 70% dei mangimi, in massima parte soia e mais provenienti dagli Stati Uniti” e quasi sempre geneticamente modificati. Di conseguenza, anche dove non permessi, gli Ogm “sono potenzialmente presenti nelle farine di mais e di soia, che figurano come ingredienti di tantissimi prodotti alimentari”.
Un fatto che non dovrebbe creare allarmismi, per Mark Buckingham della GM’s industry’s Agriculture and Biotechnology Council, che al contrario elogia gli enormi potenziali benefici di queste tecnologie. “Dall’India al Sudafrica, milioni di contadini hanno già valutato l’impatto positivo che la tecnologia degli Ogm può avere sul loro lavoro”, afferma il dottor Buckingham: “La popolazione mondiale raggiungerà i nove miliardi entro il 2050. Un significativo aumento dei raccolti è quindi necessario, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo”.
Il continuo progredire della ricerca, inoltre, secondo Buckingham potrà portare gli Ogm a fronteggiare anche sfide come quella dei cambiamenti climatici: “Si sta sviluppando una tecnologia per la tolleranza alla siccità, che permetterà alle colture di affrontare senza problemi periodi di bassa umidità dei terreni”. Ogm come soluzione ai problemi ambientali? Per Vandana Shiva, in realtà “il modello degli Ogm scoraggia i contadini nel provare metodi di coltivazione più ecologici”, e le corporation che lo promuovono stanno “distruggendo le alternative” al solo scopo di “perseguire il profitto”.
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Ananas, chi ne paga il costante abbassamento di prezzo?
‘Padroni a casa nostra’ ci porta in Costa Rica, dove vengono prodotti i tre quarti degli ananas che troviamo sugli scaffali dei supermercati europei. Una produzione enorme, concentrata nelle mani di due multinazionali – le americane Dole e Del Monte – che dominano il commercio mondiale di questo frutto sempre più richiesto. Scopriamo a che prezzo.
In Costa Rica sono prodotti i tre quarti degli ananas che troviamo nei nostri supermercati a prezzi sempre più bassi
Vi sarete imbattuti molte volte nel reparto frutta di un supermercato. Lì avrete sicuramente trovato le offerte più interessanti: prendi 3 e paghi due, prendi due e paghi uno, prendi mezzo chilo di merce e paghi pochi centesimi di euro ecc.; in molti casi offerte fatte per promuovere l’acquisto di prodotti che arrivano dalla parte opposta del globo, o assolutamente fuori stagione. Altro fenomeno dovuto alle magie del libero mercato, è l’offerta presso i supermercati di ogni parte d’Europa e del mondo ‘civilizzato’ dell’abnorme quantità di prodotti ‘esotici’ esposti. Merce della cui origine si sa spesso ben poco e della quale non ci si riesce a spiegare l’economicità. Miracoli della grande distribuzione.
Quindi da dove arrivano questi prodotti, come fanno ad essere disponibili in ogni periodo dell’anno, e soprattutto, come possono costare così poco se, dietro di loro, c’è una lunghissima filiera di produzione, trasporto, imballaggio, conservazione e distribuzione? Non ci si può non fare alcune domande, visti i prezzi stracciati che spesso li caratterizzano. Un esempio di ‘svendita’, oltre a quello ormai noto delle banane, è quello di un frutto dalla crescente diffusione sulle tavole globali: l’ananas. Un prodotto sempre più economico, se ci avete fatto caso, ma la cui caduta libera dei prezzi, nei supermercati del vecchio continente, ha delle conseguenze, pagate (sotto certi aspetti letteralmente) da chi quel succulento e dolcissimo frutto lo produce.
Oggi il nostro viaggio con ‘Padroni a casa nostra’ ci porta così in Costa Rica, piccolo Stato dell’America centrale nel quale vengono prodotti i tre quarti degli ananas che troviamo sugli scaffali dei supermercati europei. Una produzione enorme, concentrata però nelle mani di due multinazionali in particolare – le americane Dole e Del Monte – le quali dominano il commercio mondiale di questo frutto sempre più richiesto, senza però farsi scrupoli nei confronti del Paese e della popolazione che li ospita.
Prima lo scorso anno nella classifica del rapporto Happy Planet Index (una graduatoria sul benessere delle nazioni basato non più sul Prodotto Interno Lordo, ma sulla felicità, l’aspettativa di vita e l’impatto ambientale), redatto dalla New Economics Foundation di Londra, la nazione mesoamericana presenta invece degli aspetti molto oscuri, dovuti ai profondi disagi che nascono da uno sfruttamento eccessivo del territorio e delle persone che vi vivono e lavorano.
Presso i supermercati troviamo un’abnorme quantità di prodotti ‘esotici’ esposti
A dimostrarlo è un’inchiesta co-prodotta dall’Unione Europea e dal celebre quotidiano inglese The Guardian, nella quale sono documentate sia le condizioni di sfruttamento e povertà subite dalle persone impiegate nelle piantagioni, che gli effetti sulla salute (loro e delle popolazioni locali) causati dal massiccio uso di pesticidi e sostanze chimiche, necessarie alla coltivazione intensiva del frutto tropicale.
Fernando Ramirez, esperto agronomo del del Costa Rica National University’s toxic substances institute dell’Universdad Nacional , ha spiegato il ciclo agrochimico necessario alle monoculture per produrre frutti perfetti per la vendita: “Gli ananas hanno bisogno di grandi quantità di pesticidi, circa 20kg di principi attivi all’ettaro per ciclo. I terreni sono sterilizzati; la biodiversità eliminata. Generalmente c’è bisogno dai 14 ai 16 tipi di trattamento, e molti di questi vengono eseguiti diverse volte. Usando sostanze chimiche pericolose per l’ambiente e per la salute umana”. Sostanze chimiche legali in Costa Rica, ma ritenute controverse in tutto il mondo.
La chimica ha reso ben poco costosi gli ananas, creando un nuovo mercato, ed aumentando la produzione di questo frutto del 50% dal 1998 ad oggi. Il problema è che questa è un’industria, come molte altre del resto, basata sul degrado ambientale e sul deterioramento delle condizioni di vita di persone già povere. Persone che almeno non si rassegnano e stanno denunciando sempre più i problemi dovuti alle contaminazioni chimiche, agli avvelenamenti accidentali, ai licenziamenti ingiustificati ed ai tagli degli stipendi (causati anch’essi dalla necessità di mantenere prezzi degli ananas molto bassi, in un mercato sempre più espanso e competitivo) delle migliaia di operai impiegati in questo settore produttivo.
La chimica ha compromesso le falde acquifere delle zone limitrofe alle piantagioni, tanto che le persone da anni devono dipendere da rifornimenti via cisterna, ed ha reso i fiumi ed i torrenti uno spettacolo ininterrotto di pesci galleggianti senza vita. Gli effetti sulla salute sono a dir poco inquietanti, ed hanno portato il governo a fare delle analisi sulle acque del posto, nelle quali è stata trovata traccia di 22 agenti contaminanti. Le conseguenze ovviamente non mancano: persone che fino a pochi anni fa non avevano nulla, si ritrovano oggi piene di malattie, dalle ‘semplici’ infezioni agli irrimediabili tumori.
Gli ananas hanno bisogno di grandi quantità di pesticidi, circa 20kg di principi attivi all’ettaro per ciclo”
Fa male sentire, vedere o leggere queste cose. Ma quando facciamo la spesa, tutti, anche chi ha la fortuna (o la possibilità) di avere un orto, un giardino o un frutteto che gli/le permetta di mangiare dei sani frutti autoprodotti, ricordiamoci che tutto ha un prezzo. Ricordiamoci che cosa sta dietro ai bollini adesivi di marche come Dole e Del Monte. E se proprio qualche volta ci vogliamo concedere (un po’ incuranti delle filiere corte, dei prodotti locali e quindi dei cambiamenti climatici) un prodotto “esotico” che arriva da luoghi molto lontani da casa nostra, facciamolo almeno scegliendo prodotti Fair Trade, o del commercio equo e solidale in generale.
Un settore a sua volta in pericolo, quest’ultimo, secondo Vladimiro Adelmi, responsabile Solidal Coop-Coop Italia: “Ogni abbassamento dei prezzi crea dei problemi ai prodotti Fair Trade. […] Che riguarda una tutela dei diritti delle persone e dell’ambiente, ma che poco può fare quando sul mercato i prezzi sono eccessivamente bassi”. Nel futuro, quindi, “il ruolo determinante sarà quello delle persone – conclude Adelmi – delle quali rimane importantissima e fondamentale la reazione”
Ricordiamocelo bene, perché più è basso il prezzo che paghiamo in Europa noi ‘consumatori’, più è alto quello che devono pagare i produttori del Costa Rica e di decine di altri Paesi. Persone sfruttate da compagnie straniere per mercati stranieri, desiderose di godere almeno in parte dei frutti del loro lavoro e della loro terra.
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