Roma, 2 ago. (Apcom) – Sono oltre 100 milioni le donne e le bambine sottoposte a una forma di mutilazioni o asportazioni chirurgiche genitali femminili in 28 paesi africani e in comunità di immigranti in Europa, Australia, Canada, Nuova Zelanda e Stati Uniti. Il dato è emerso da una ricerca condotta dall’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) ed è al centro del vertice in corso ad Addis Abeba, dal 30 luglio al 3 agosto, e che vede riuniti esperti provenienti da tutto il mondo, rappresentanti delle agenzie dell’Onu, di Organizzazioni non governative e religiose, dei corpi di polizia, di istituzioni governative e di ricerca. Stando a quanto precisato in un comunciato Onu, il vertice è stato organizzato dal Fondo Mondiale per la Popolazione, per discutere le mutilazioni genitali, approfondendo anche tematiche legate alla salute sessuale e riproduttiva, ai diritti umani e al genere. Nel suo intervento di apertura, il direttore dell’ufficio di Addis Abeba del Fondo Mondiale per la Popolazione, Benson Morah, ha sottolineato quanto la pratica sia radicata in alcune aree, sollecitando quindi l’adozione di un approccio collaborativo con le comunità locali, “poiché la pratica delle mutilazioni genitali femminili è saldamente radicata in alcune delle nostre culture, e la volontà della sua abolizione deve venire da cambiamenti di quelle stesse culture”. Secondo il Fondo Mondiale per la Popolazione, la pratica può produrre serie conseguenze sanitarie, che vanno da forti dolori a emorragie ed infezioni talmente gravi da poter portare al decesso. Uno studio condotto di recente dall’Oms in sei paesi ha confermato che i rischi di complicazioni ostetriche crescono proporzionalmente alla rilevanza delle mutilazioni genitali subite dalla donna.

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