Discussione aperta e serena sulla “dolce morte”… e sulla ipocrisia medica, religiosa e legislativa….
di Paolo D’Arpini

Tutto il discorso si può dire che inizia con Socrate e con la sua decisione di sottomettersi volontariamente all’intossicazione, ovvero di non fuggire alla condanna inflittagli dagli ateniesi per avvelenamento con la cicuta. Ai suoi tempi alcuni dei discepoli stretti gli consigliarono di non accettare la sentenza e di salvare la pelle scappando da Atene ma il filosofo imperterrito suggerì: “Prima o poi la morte arriva comunque, ora se io fuggissi per amore della vita negherei il valore della democrazia e del verdetto popolare liberamente espresso, inoltre non conoscendo ciò che mi attende nel “post mortem” la curiosità innata del ricercatore che è in me mi spinge a non scantonare da questa esperienza, che viene spontaneamente. Se dopo la morte non vi è più nulla potrò godermi un meritato riposo se invece vi è ancora coscienza ed esistenza allora potrò finalmente corrispondere con spiriti nobili ed elevati ed avere una interessante condivisione sul significa dell’Essere. In entrambi i casi perché preoccuparsi?” Con queste parole serene Socrate bevette l’infuso mortale e se ne morì descrivendo dettagliatamente le sue esperienze fisiche e psichiche in ogni momento del processo di dipartita.
Dal punto di vista etico, l’eutanasia volontaria ha una sua dignità morale, non solo nella cultura occidentale ma anche in oriente, ove è accettato il “suicidio” onorevole, vedi il caso dell’auto sbudellamento (harakiri) in Giappone, o l’ascesa sulla pira degli asceti ancor vivi in India (ed a questo proposito ricordo la storia del guru prelevato da Alessandro Magno nella piana gangetica e che si immolò sul fuoco ardente poco prima della morte di Alessandro stesso). Anche in Cina e nella cultura indioamericana la “morte sacrificale” viene accettata come un fatto normale, addirittura nella storia mesoamericana si narra che la creazione del mondo avvenne proprio in seguito al “sacrificio” di due importanti Dei (uno brutto ed uno bello) che si gettarono nel fuoco primordiale e da ciò fecero nascere la vita sulla terra.
Allo stesso tempo, sempre da epoche immemorabili, viene posto l’accento sulla gravità del suicidio come atto di regressione karmica, ad esempio nella tradizione cristiana ai suicidi è comminato un girone infernale pessimo e persino in India ed in Tibet ai suicidi vengono riservate numerose reincarnazioni espiative (come ciechi o malati gravi). Ma in questo caso si parla di atti di suicidio in cui si vuole fuggire dal proprio dovere karmico, non si ha il coraggio cioè di affrontare le prove che la vita ci manda e quindi queste prove devono essere riportate davanti all’anima. Insomma c’è sempre il dubbio che la morte auto indotta sia una specie di fuga o noncuranza verso la vita, come nel caso di morte causata da eccessi e vizi, in tal senso persino la persecuzione terapeutica -che tiene in vita il malato a “tutti i costi”- potrebbe esser vista come una forma karmica espiativa.
Mentre, dal punto di vista del giuramento di Ippocrate, la cosiddetta “donazione” degli organi non è altro che un omicidio legalizzato, infatti molti anestesisti si rifiutano di certificare la “morte cerebrale” di infortunati (soprattutto giovani) ai quali vengono poi espiantati degli organi sani, poiché tali asportazioni possono avvenire solo su “un organismo vivo” -il cuore della vittima ancora batte- mentre l’esame delle onde pensiero segnalanti l’attività cerebrale indica una linea piatta. Il che non significa però che tale “morte cerebrale” sia reale decesso, infatti la stessa condizione si manifesta ad esempio in uno stato di assorbimento profondo, come il samadhi dello yogi, ma già sappiamo che dal samadhi si può tranquillamente uscire e riprendere le funzioni vitali… Dal che se ne deduce che “materialmente” la donazione degli organi avviene “uccidendo” il donatore. Queste ipocrisie e falsità mediche sono poi “pareggiate” dal punto di vista moralistico nel mantenimento in vita di un corpo malato irrimediabilmente che viene mantenuto artificialmente “vivo” come tanti casi eclatanti descritti dalla cronaca… (vedi sotto).
Lasciando da parte la “morale” resta comunque aperto il discorso della legalità e del diritto umano, in Italia come nel resto de mondo il legislatore decide (in teoria) su base razionale e quindi la normativa è ancora aperta sia pur confusa. Qui di seguito voglio inserire una serie di pareri espressi da alcune persone che, per un verso o per l’altro stimo, e lascio a voi il giudizio finale su questo argomento:

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“Continuando il dibattito interno ad Assoconsumatori in materia di diritto e libertà di cura, ti invio queste due righe che testimoniano il nostro necessità di approfondimento. Sull’opportunità del testamento biologico: certezze e dubbi giuridici Purtroppo le questioni dell’etica vengono discusse troppo spesso in astratto, mentre un giurista deve avere il rigore storico e formale che gli deriva dall’impostazione generale del diritto positivo. Cioè non deve ragionare secondo le mode ma secondo scienza e coscienza (anche il giurista), perché seppure sia fondamentale l’aderenza ai mutamenti del costume tuttavia, se di costume si tratta, esso attiene alle problematiche più superficiali. Mentre sulla vita e la morte, sul corpo e sulla salute, su materia cioè indisponibile è ovvio che le mode hanno molto meno peso. Insomma, si deve seguire un rigore tecnico che poco o nulla lascia al campo
della discrezione politica o mass-mediatica, delle mode di pensiero o del presenzialismo. E il criterio primo è individuare la parte debole – e la parte forte – in campo, ovviamente. Solo tecnica giuridica e legislativa, appunto, per lo meno per quanto riguarda l’associazione di tutela dei cittadini, che in questo caso deve intervenire su fatti che il potere e la propaganda hanno sviluppato come guerra tra poveri ( e non tra un debole ed un potente): qui i poveri sono due: uno a cui serve un organo, e uno che è in fin di vita, e si vuole inscenare un conflitto tra questi 2 soggetti, mentre noi sappiamo che siamo a fronte, invece, di un potere forte (il commercio degli organi, le cliniche) che, peraltro, è finanziato dai contribuenti (altro soggetto debole). Infine, va citata la parte della professione medica, che qui non so se definire potere forte o debole, perché per diritto è il tutore del diritto costituzionale alla salute. Come detto, la legge sul testamento biologico non passa, da anni, e pare
poter dire che il vuoto legislativo favorisce il commercio criminale, cioè i potenti. Infatti, il testamento biologico produrrebbe una forte contrazione delle donazioni, perché sarebbe molto più forte l’effetto del “consenso informato”, completo di tutti i dettagli, che permetterebbero al soggetto volenteroso ma ignaro di rifletterci meglio. Le molte donazioni (l’Italia è in testa) – che costituiscono un ricco mercato e drenano molte risorse della sanità su capitoli molto importanti – oggi vengono ottenute con la deregulation e l’aggiramento delle più elementari norme di tutela (il foglietto del Ministero privo delle garanzie di firma …o delle ‘circostanze’ …che possono essere le più svariate) se non la loro aperta violazione. In questo senso avrebbe ragione chi sostiene la necessità della legge sul testamento biologico
ma è probabile che per far questo non serva una nuova legge, che ha il pericolo di voler varare un nuovo ‘istituto’, quando probabilmente non serve e tutte le leggi già esistenti sono già ora sufficienti, se meglio organizzate all’interno della professione medica (insomma, la legge apposita sembrerebbe fatta apposta per sollevare il
medico da ogni responsabilità, e non il contrario). Noi siamo per un testamento, chiaro, semplice, valido. Ma non biologico (non ci piace il termine ‘biologico’ affiancato a testamento, pensiamo ai rischi di aprire alla disponibilità del biologico, agli OGM, alla manipolazione della vita, no? Il giurista si pone quindi l’obbiettivo di raggiungere una prassi legale adeguata, se non ottima, per il riequilibrio dei poteri e la trasparenza. Quindi, l’analisi giuridica non si ferma qui, e affronta le contraddizioni di una norma che appare utile ma non trova il consenso per essere deliberata e creare un nuovo istituto, ed ecco perché si solleva l’interrogativo sull’opportunità di un nuovo istituto, interrogandosi su ogni aspetto di contraddizione in termini o di spirito della legge stessa. E qui il campo è minato. Infatti, nelle guerre tra poveri è difficile avere il giusto metro: il problema della donazione dovrebbe essere un problema di
chi ne ha bisogno, non di chi inavvedutamente ed in uno stato di bisogno altrettanto grave è indotto a donare, magari a rischio della propria vita (in assenza di garanzie).
Ho seguito l’iter della legge e la discussione: come ho verificato, è molto complesso mettere mano alla ‘responsabilità’ di un terzo in materia di diritti indisponibili: vi è una chiara contraddizione in termini, i diritti o sono inalienabili ed indisponibili o non lo sono, non esistono vie di mezzo se non a rischio di ledere alcuni principi basilari dell’impianto del diritto positivo (il diritto naturale può disporre con potere assoluto sulla vita, quello positivo nasce per creare un sistema di garanzie ) Per esempio, basti pensare che nessuna legge può costringere la coscienza del medico, che per legge opera in scienza e coscienza, e se tale legge vi fosse si creerebbe la situazione contraddittoria e difficile (moltiplicata per mille) che abbiamo per l’aborto. La caccia alle streghe si allargherebbe, invece di normalizzare la situazione, insomma si uscirebbe dal seminato della scienza propriamente intesa e si rimetterebbe il tutto in
mano alla discrezionalità della politica. Invece si deve trovare l’equilibrio, ed in questi casi è meglio rifarsi agli impianti giuridici corretti, cioè basandosi sulle norme esistenti (che ve ne sono tante) semmai individuando gli aspetti mancanti, per ottenere una efficacia delle norme (nel loro complesso e non singolarmente intese) piuttosto che inventare nuovi istituti che possono aprire la strada ad avventure che sfuggono alla nostra indagine o immaginazione. Per questo motivo, ho apprezzato le dichiarazioni dell’Ordine dei Medici di Milano, che hanno ipotizzato un percorso etico della professione in materia (appoggiato alle norme esistenti, magari con qualche minimo ritocco), cioè ad una piena responsabilità del professionista, in un sistema di trasparenza tra fatti e diritto, mediato dalla scienza nell’esercizio della professione (che non è solo scienza, ma anche coscienza, appunto). Di fatto, si dovrebbe sviluppare un modello di ‘testamento’ che lega la pratica di tutela dell’associazione dei donatori (una delle parti deboli) alla pratica giuridica della medicina legale (infatti in mezzo vi è una zona grigia). Una operazione testamentaria che agendo su un diritto indisponibile deve essere blindata nella procedura e garantita nella forma ma anche …nella sostanza. Questo modello di testamento dovrebbe prendere in considerazione che l’assenso debba essere espresso in modo informato e per fattispecie che, scientificamente, presuppongono rischi diversi. INFORMAZIONE: tutta l’informazione scientifica corretta e trasparente
FATTISPECI: tutte le fattispecie della casistica, per esempio coma, tempi di prognosi ed accertamento prima dei quali o dopo i quali uno rilascia il consenso, cautele come per esempio la libera scelta di terapie alternative in caso di dichiarazione di fallimento della scienza ufficiale, etc.” (Assoconsumatori)

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”Nel concordare in pieno con questi concetti, e preannunciando un mio futuro articolo che cercherà di inquadrare la questione nell’ambito della complessità moderna (ovvero: interessi economici dietro il mercato della salute), occorre aggiungere qualcosa: il cinismo cui viene decretata la condanna a morte fra atroci dolori si basa su concetti falsi che vanno smascherati. Concetti tanto più falsi quanto più mascherati di buonismo dolciastro. L’ esempio essenziale ci viene da quanto fatto in relazione al trapianto di Organi. Il trapianto di organi, ed il suo mercato nero, è divenuto possibile solo quando si è proposto come businnes e cioè da quando una sentenza della Corte Suprema di California, peraltro molto contraddittoria e molto contraddetta,ma automaticamente accolta in tutto il mondo, stabilì che gli organi umani non hanno prezzo. [ Moore v.Regents of University of California, 51 Cal 3d120,P2d,1990 ] Da questo momento è esploso il business,che potendo utilizzare una materia prima senza prezzo, permette qualsiasi tipo di speculazione. Per poter impiantare il business hanno dovuto inventare il concetto di “morte cerebrale”, che è un falso assoluto. Tant’è vero che la constatazione di morte, al di fuori dei procedimenti atti a favore i trapianti, si fa ancora con i vecchi sistemi. Per poter “operare” in tutta calma, hanno dovuto by-passare uno scoglio apparentemente insuperabile: quello del consenso informato. Non solo non hanno chiesto il consenso, ma non hanno neppure informato! Infatti nessuno nel nostro paese sa di che si tratta quando si parla di trapianti. Ci si limita a sperare di non trovarcisi impigliati ( o…impagliati!) Di queste belle prodezze si è fatta pronuba la cattolicissima Rosy Bindi, durante il suo “mirabile” soggiorno al Ministero della salute ( si fa per dire…). Insomma, costoro…e non si sa bene chi, pretende di stabilire non solo se una persona è morta o viva, ma anche se il paziente in morte cerebrale soffra o meno….che è una mostruosità scientifica (oltre che criminale, vedi il testo fondamentale della Bioetica: Vita, morte miracoli, Feltrinelli, a cura di Nespor, Santosuosso e Satolli). Per concludere, ma solo per il momento, quattro considerazioni:

Simone de Beavoir: Tutti gli uomini devono morire, ma per ogni uomo la morte è un’ accidente ed una violazione ingiustificata, pur sapendolo e pur consentendovi. L.Wittgenstein: Dare un nuovo concetto può significare solo introdurre un nuovo impiego di un concetto, una nuova pratica. Il concetto di è vago.
Ch.Hufeland, (medico, 1762-1836): Quando nel suo lavoro un medico presume di poter prendere in considerazione se una vita ha o no valore, è impossibile limitare le conseguenze di questo atto, ed il medico diventa l’ uomo più pericoloso dello Stato.
AA.VV. ( Op.cit.) Nessuno può dirsi “proprietario” di se stesso, del proprio corpo o della propria persona. La proprietà è infatti un potere che si esercita su un “bene economico” (materiale o immateriale) e che comporta la possibilità di utilizzarlo a proprio piacimento:sia di goderne, sia di disporne, cedendolo ad altri. L’ essere umano, la persona, il corpo non sono oggi beni economici e di essi nessuno può disporre. Martin Luther King: Le nostre vite finiscono quando taciamo di fronte alle cose davvero importanti”. (Giorgio Vitali)

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”Eu-tanasia è un vocabolo greco, composto di un prefisso “eu” che vuol dire buono; e da “tanatos” che significa morte. La “buona morte” che ciascuno si augura per i malati terminali in preda a sofferenze acute, non ha niente a che vedere però con la morte per disidratazione, ed inedia, che i magistrati di Cassazione vogliono per forza infliggere alla indifesa Luana Englaro: essere vivente, e senziente i dolori fisici, perché se il cervello è spento alla ragione, i sensi ed il sistema nervoso che li irradia in parte funzionano. La morte per sete è orrenda, per i malesseri che provoca prima che intervenga il coma iperglicemico che uccide l’ infelice torturato: era una delle pratiche di Abu Ghraib, insieme al suo opposto “waterboarding” (affondare la testa della vittima nell’ acqua fino a farlo soffocare) che si pratica invece a Guantanamo. Delle quali pratiche Obama ha già chiesto a Bush e Cheney di fornire ragione, e i Democratici più sensibili all’ orrore reclamano il processo al comandante-fellone. (Certo questo non lo racconta il Quotidiano Unico, tutto impegnato contro la “dittatura” di Putin, e per la “integrità” della Georgia; ma nondimeno, questo accade in O/merica). Consigliamo allora gli ermellini ipocriti che vogliono, nuovi Ponzio Pilato, “lavarsi le mani” da un caso scottante cedendo alla furia della tribù più barbara che reclama “Morte” per l’ innocente, di sparare direttamente in bocca alla sfortunata Eluana, diventata caso ideologico tra fazioni “opposte” in lizza per il primato culturale. Ma qui non c’ entra niente “religione o laicità”, difesa dalla vita o diritti individuali, qui ci sono solo le torture di una morte cattivissima inflitta a qualcuno che non può ribellarsi al gioco orrendo delle strumentalizzazioni “opposte” e convergenti…… “ (Gianni Caroli).

Ecco vi ho fornito una panoramica alquanto laica e scientifica sui diversi punti di vista legali e etici sul tema, di più non posso fare anche perché non è nelle nostre mani poter prendere decisioni in un senso o nell’altro. Credo che il “feroce” karma umano stia già lavorando nel tracciato del dovuto….

Mi si perdoni l’argomento truce, “au revoir a la prochaine”.
Paolo D’Arpini

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“La morte cerebrale non esiste”
Finalmente una prova scientifica dal notiziario di Libero.it
Commento di Nerina Negrello della Lega Nazionale Contro La Predazione di Organi

Gentile Paolo D’Arpini,

Abbiamo appena inserito un commento all’articolo “Stato vegetativo: la svolta” su www.libero-news.it. Dato che per ora non compare, e nella speranza che non lo censurino, glielo riportiamo di seguito.

STATO VEGETATIVO E MORTE CEREBRALE

Le certezze millantate nei comi vegetativi, ora scardinate da nuove tecnologie di “scanning” tipo risonanza magnetica, che hanno evidenziato attività di pensiero in corpi paralizzati, devono servire a sconfiggere il falso concetto di “morte cerebrale” dichiarata a cuore battente e imposta da leggi inique per favorire il business degli espianti/trapianti.

Lega Nazionale Contro La Predazione di Organi e la Morte a Cuore Battente
www.antipredazione.org

E’ già dal 2002 che si riportano sulla stampa studi su attività cerebrali nei comi vegetativi grazie a nuove tecniche di indagine, ma al clamore iniziale non segue nessuna autocritica concreta da parte dei medici che sentenziano sulla reversibilità o irreversibilità dei comi, compreso quello classificato “morte cerebrale” che ci riduce a pezzi di ricambio.
Le alleghiamo il nostro comunicato del 25/09/09 “Coma vegetativo – Stato di minima coscienza – ‘morte cerebrale’ certezze millantate” che tratta di uno studio pubblicato sul BCM Neurology del 21/07/09, dove già si rilevava che molte persone dichiarate in stato vegetativo sono in effetti in uno stato di minima coscienza o come nel caso di Rom Houben in piena coscienza ma impossibilitato a comunicare.
Se tanto mi dà tanto, è ovvio che anche la ‘morte cerebrale’ è frutto dell’ignoranza e presunzione dei medici.
Cordialità,
Nerina Negrello – Lega Antipredazione

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COMA VEGETATIVO –STATO DI MINIMA COSCIENZA– “MORTE CEREBRALE” CERTEZZE MILLANTATE

A quanti seguono con attenzione lo sviluppo “nebuloso” della Sanità istituzionale nel settore degliespianti/trapianti, vogliamo sottoporre l’articolo dell’Economist, da noi tradotto, che segnala unlavoro di ricerca sul coma vegetativo pubblicato su BCM Neurology del 21/07/09 (“Diagnosticaccuracy of the vegetative and minimally conscious state: Clinical consensus versus standardizedneurobehavioral assessment” di Schnakers, Vanhaudenhuyse, Giacino, Ventura, Boly, Majerus,Moonen e Laureys), tema di particolare attualità nella sua complessità. L’articolo ci è statotrasmesso dai colleghi medici inglesi, che lo hanno visto come passo avanti nella critica allecertezze sul coma e come speranza di sviluppo di critica alla cosiddetta “morte cerebrale”.
L’importanza di questo articolo sta principalmente nel fatto che gli stessi neurologi ammettono chenon ci sono certezze e che sono stati fatti considerevoli errori di diagnosi, quindi è incomprensibile che si possa sostenere la “morte cerebrale” a cuore battente ed imporla, considerato che anche inquella non ci sono certezze. Questo studio contrappone fra loro due indirizzi autoritari nei confronti del paziente, neurologi cherivendicano la loro professionalità e abilità di giudizio e altri che ne contestano sia le abilità che l’onestà e propongono protocolli di classificazione standard. A noi resta il sospetto che, pur in buonafede, si possa profilare un protocollo autoritario sullo stato vegetativo similare al protocolloautoritario che impone la “morte cerebrale” e quindi il rischio futuro di prelievo di organi dei dichiarati in coma vegetativo permanente.
Ci sono delle Consulte di bioetica che hanno già proposto l’equiparazione dello stato vegetativo permanente alla morte

Comitato Medico: Prof. Dott. Massimo Bondì L.D. Pat. Chir. e Prop. Clin. Univ. La Sapienza Roma Patologo e Chirurgo generale Presidente Nerina Negrello Buona lettura!

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Sulla diagnosi del coma: Sorte avversa per qualcuno…

23 Luglio 2009 da The Economist edizione stampataTradotto da Lega Nazionale Contro la Predazione di Organi e la Morte a Cuore BattenteUno studio recentemente pubblicato sostiene che molte persone a cui è statodiagnosticato uno stato vegetativo, non lo sono. E’ una questione di “etichette”. Veramente possono fare la differenza tra la vita e la morte. Una persona in un letto di ospedale con un’etichetta con la scritta “stato di minima coscienza” sarà sottoposta ai trattamenti di sostegno alla vita a tempo indeterminato.
Se sull’etichetta è scritto “stato vegetativo” questi trattamenti possono essere sospesi in qualsiasi momento. Un profano può noncapire la differenza, ma un medico sì. O no? Caroline Schnakers, Steven Laureys e loro colleghi dell’Università di Liège hanno appena pubblicato un preoccupante studio sul ‘BioMed Central Neurology’ che sostiene che forse non è così. Forse un medico non può capire la differenza o peggio, preferisce usare la sua intuizione piuttosto che usare le ultime tecniche diagnostiche per affermare la differenza. Di conseguenza, molte persone potrebbero rischiare la sospensione dei trattamenti di sostegno alla vita anche quando hanno segnali intermittenti che la loro coscienza non è del tutto scomparsa.
I pazienti in stato vegetativo sono quelli che non mostrano alcun segno di coscienza e i tribunali dimolte nazioni possono prendere in considerazione le istanze per l’interruzione dell’alimentazione eidratazione, permettendo loro di morire (come è successo nel caso molto mediatizzato di TerrySchiavo, in Florida, qualche anno fa), per poi espiantare i loro organi per trapianti.
I pazienti che mostrano segni di coscienza -quelli che sono in grado di obbedire ad un comando, per esempiosbattere le palpebre o seguire con gli occhi un oggetto in movimento- vengono definiti ‘nonvegetativi’ e questa sorte viene loro risparmiata. Ci sono delle prove che questi pazienti, adifferenza dei pazienti in stato vegetativo, possono sentire il dolore e quindi ci si impegna adalleviare la loro sofferenza e a riabilitarli. Tutti sono d’accordo che distinguere tra questi due tipi di coma non è mai stato facile.
Anzi nel 1996 Keith Andrews e i suoi colleghi del ‘Royal Hospital for Neurodisability’ di Londra hannotrovato che il 40% dei loro pazienti in stato vegetativo erano stati diagnosticati erroneamente.All’inizio di questo decennio però i medici hanno avuto a disposizione due nuove tecniche e ci siaspettava perciò che le cose migliorassero.Un battito di ciglia, e puoi scamparlaUno dei metodi innovativi era una nuova categoria diagnostica – lo stato di minima coscienza. Questo descrive pazienti che stanno un po’ meglio di quelli nello stato vegetativo, perché mostranooscillanti segni di coscienza. Ad esempio, qualche volta, ma non sempre, potrebbero passare il test del riflesso palpebrale.
L’altro nuovo metodo era la “JFK Coma Recovery Scale” (una scala direcupero dal coma). Questo consiste in oltre 20 test clinici e si caratterizza nella possibilità per imedici di distinguere non solo i pazienti in stato vegetativo da quelli in stato di minima coscienza,ma anche quelli che sono usciti dallo stato di minima coscienza. Questo metodo è ampiamenteaccettato in quanto dà una diagnosi accurata di queste condizioni. Ma lo stanno applicando?Lo studio del team di Liège, ritiene di no. Hanno confrontato le diagnosi di 103 pazienti secondo l’opinione dei medici curanti e quelle determinate dalla scala di recupero dal coma.
Di questi pazienti presi in considerazione, 44 sono stati diagnosticati dai medici curanti in coma vegetativo, mentre la scala di recupero del coma indicava che 18 dei 44 fossero in uno stato di minimacoscienza. Questa è la stessa percentuale di errore – circa 40% – che il dott. Andrews aveva rilevato13 anni prima a Londra. Sembra anche che 4 di 40 pazienti diagnosticati in stato di minima coscienza, ne erano poi usciti.
Sebbene i loro medici non l’avessero notato, questi pazienti erano aquel punto in grado di comunicare.La conclusione cauta del Dr Laurey è che i neurologi non vogliono che la loro abilità diagnosticavenga rimpiazzata o superata da una scala di recupero. Ritiene che lo stato di minima coscienza siauna diagnosi relativamente nuova ed è possibile che qualche medico non sia ancora a suo agio conil criterio, ma questa è una ragione in più per utilizzare la scala di recupero. Il guaio di una diagnosi basata sulla convinzione dei medici, piuttosto che su una misurazione, è che essa è soggetta alleinfluenze esterne, ad esempio delle compagnie assicurative che secondo Dr Laurey preferiscono unadiagnosi di stato vegetativo ad una diagnosi di stato di minima coscienza, perché coloro che sono instato vegetativo non richiedono costose riabilitazioni.
Tutto ciò è inquietante. E’ vero che lo studio di Liège è una singola ricerca, ma se fosse ripropostaaltrove metterebbe in discussione sia il trattamento dei pazienti più vulnerabili, che la serietà deimedici nei confronti degli strumenti a loro forniti dalla scienza con fatica

da Altra Calcata

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